Il Cagliari perde a Bergamo e questa volta non può permettersi letture consolatorie.
Perché se l’atteggiamento, a tratti, c’è stato, la realtà resta più scomoda: i rossoblù sono
appena tre posizioni sopra la zona retrocessione, una distanza che non garantisce
nulla e che non autorizza a sottovalutare un campionato in cui chi sta sotto può svegliarsi
da un momento all’altro.
Il primo nodo è evidente e ormai strutturale: si entra in campo senza veri riferimenti
offensivi. Contro l’Atalanta il gol arriva, ancora una volta, da chi attaccante non è. È
successo contro la Roma e può sembrare una virtù, ma a lungo andare diventa un
problema. Perché non tutte le partite consentono questo tipo di soluzione e perché,
quando serve davvero fare risultato, l’assenza di un attaccante capace di garantire una
cifra di gol compatibile con la permanenza in Serie A pesa come un macigno.
Il primo tempo è lo specchio di questa fragilità. Un Cagliari attendista, rinunciatario, che
sembra più impegnato a non scoprirsi che a colpire. Così facendo non solo regala campo
e fiducia all’Atalanta, ma ottiene anche un risultato paradossale: resuscitare Scamacca,
che non arrivava certo nel suo momento migliore. Eppure basta il Cagliari, come spesso
accade, per rimettere in moto meccanismi che altrove sembravano arrugginiti.
Nella ripresa arriva la reazione. C’è più coraggio, più intensità, più voglia di rimettere la
partita sui binari giusti. Ma anche qui serve onestà: non è una reazione figlia di un
piano, bensì della necessità.
Il pareggio illude, riaccende le speranze, ma dura poco.
Perché quando concedi un tempo intero, poi sei costretto a camminare sul filo. E quando
dietro i pasticci non mancano, prima o poi il prezzo si paga. Una marcatura persa, una
lettura sbagliata, ed ecco che tutto il lavoro fatto rischia di svanire.
E questo rende la sconfitta ancora più pesante, perché l’Atalanta non era nella sua
versione migliore. Non dominante, non irresistibile. Una squadra affrontabile, se solo il
Cagliari avesse scelto di giocare la partita dall’inizio, e non solo quando il risultato lo
imponeva.
Il problema, allora, va oltre il singolo ko. Riguarda una squadra che vive di reazioni, che si
accende solo quando è costretta, che spera nella giocata episodica più che nella
continuità. In questo contesto, il mercato di gennaio smette di essere una variabile e
diventa una necessità. Serve un attaccante che garantisca gol veri, numeri compatibili
con una salvezza tranquilla, perché continuare a segnare “per caso” o “per emergenza”
non è un piano sostenibile.
Il Cagliari non è spacciato, ma nemmeno al sicuro. La classifica parla chiaro, la difesa
continua a concedere troppo e l’attacco non basta così com’è. Continuare a regalare
tempi, fiducia e occasioni agli avversari è un rischio enorme. Perché mentre il Cagliari
aspetta di entrare davvero in partita, gli altri stanno già lavorando per restarci. E la
Serie A, come sempre, non fa sconti a chi arriva in ritardo.
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