San Michele non è un quartiere facile. Strade strette, palazzoni che raccontano fatiche quotidiane, famiglie che stringono i denti. Eppure, in mezzo a tutto questo, c’è un luogo dove il rumore della palla che rimbalza copre quello dei pensieri. È la palestra dell’Oratorio Medaglia Miracolosa, il teatro dove l’Aurora Basket Cagliari da otto anni porta avanti un sogno semplice e gigantesco: giocare insieme.
Dal 2017, anno della fondazione, gli “aurorini” hanno acceso una luce che non si è più spenta. Prima il gruppo integrato, poi una squadra femminile, una maschile e persino un gruppo amatori. Non tutto è andato liscio – la carenza di palestre a Cagliari ha fermato gli amatori – ma il cuore del progetto non ha mai smesso di battere. Quel gruppo integrato, fatto di ragazzi e ragazze con e senza disabilità, continua a essere la radice che tiene in piedi l’albero Aurora.
Ogni martedì e venerdì, dalle 16 alle 17, dal 30 settembre, la palla tornerà a rimbalzare. Ma non sono solo allenamenti: sono sorrisi che diventano amicizie, abbracci che cancellano differenze, complicità che trasformano un canestro in una piccola vittoria di tutti. «Sin dal primo giorno – ricorda il presidente e allenatore Alberto Garau – il nostro obiettivo è stato quello di creare un ambiente sereno e accogliente, in cui lo sport sia occasione di crescita, condivisione e inclusione. Vogliamo che ogni persona si senta parte integrante del gruppo e viva con entusiasmo e serenità questa esperienza».
Parole che pesano come macigni, perché qui non ci sono barriere economiche o sociali: chi non può permetterselo gioca lo stesso. «Nessuno deve restare escluso per motivi economici – aggiunge Garau – le porte sono spalancate anche a chi non ha disabilità o non ha mai giocato a basket: qui c’è posto per tutti».
Un ringraziamento speciale va a Padre Paolo Azara, che apre le porte dell’Oratorio e fa sentire ogni ragazzo a casa. Perché il basket non è solo sudore e schemi, ma anche comunità e sostegno reciproco.
Otto anni dopo, Aurora Basket è diventata molto più di una società sportiva: è un pezzo di San Michele che funziona, un modello di inclusione che non fa proclami ma costruisce ogni giorno, tra rimbalzi e risate. Una piccola, grande lezione: il basket, a volte, non è solo un gioco. È un modo per restare umani.