Finge la cecità per gareggiare alle Paralimpiadi: squalificata a vita la judoka Shahana Hajiyeva

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Siamo al delirio. Non bastavano i furbetti del cartellino, gli imbonitori televisivi e i venditori di fumo in Parlamento. Ora dobbiamo sorbirci pure i finti ciechi alle Paralimpiadi. L’ultima perla arriva dall’Azerbaigian, dove una certa Shahana Hajiyeva, già medaglia d’oro a Tokyo 2020 nel judo, è stata beccata con le mani nel sacco: ci vedeva benissimo. Altro che categorie J1 e J2, altro che deficit visivo. Questa andava sul tatami meglio di un’aquila.

La scoperta è arrivata dopo una visita medica, che ha svelato l’ovvio: l’atleta, dichiaratamente non vedente, in realtà aveva la vista perfettamente integra. E a quanto pare da sempre. Per anni ha gareggiato, vinto, incassato premi e onori sventolando una menzogna spudorata come una bandiera. E non stiamo parlando di un torneo parrocchiale, ma delle Olimpiadi per atleti disabili: il tempio dello sport pulito, della fatica vera, dell’onestà incrollabile. O almeno così dovrebbe essere.

La federazione internazionale ha reagito come si conviene: squalifica a vita. Troppo tardi, verrebbe da dire. I danni sono fatti, le avversarie umiliate, la credibilità compromessa. Che poi, diciamocelo, se una persona senza disabilità entra in gara tra chi ogni giorno lotta davvero con i propri limiti, non è semplicemente una truffatrice. È un’ipocrita, una vigliacca, una profanatrice. Altro che atleta.

Il problema, però, è sistemico. Perché non è il primo caso, e c’è da scommettere che non sarà l’ultimo. Negli ambienti paralimpici — che meritano rispetto e tutela, non certo pagliacciate — sta crescendo una deriva inquietante: quella degli impostori. Atleti pronti a tutto pur di salire su un podio, anche a inventarsi una malattia. Un insulto non solo allo sport, ma all’intelligenza umana.

Che dire? In un’epoca dove tutto è spettacolo, anche il dolore diventa merce da esibire. Ma qui siamo andati oltre. Fingere la cecità per vincere una medaglia è come rubare l’elemosina davanti a una chiesa vestiti da mendicante, mentre si guida una Porsche parcheggiata dietro l’angolo.

La Hajiyeva non merita pietà, ma l’oblio. Perché chi tradisce così lo sport, non solo non deve più metterci piede, ma andrebbe cancellato dagli annali come un errore di stampa.