Il ciclismo è uno sport crudele e magnifico, capace di tenere insieme l’epopea e la cronaca, la
poesia e la contusione, la gloria e l’ambulanza. La sesta tappa del Giro d’Italia 2025 ne è stata la
fotografia più autentica: 227 chilometri da Potenza a Napoli, immersi in un’Italia battuta dalla
pioggia, attraversata da cadute, eppure ancora fedele a quella liturgia antica delle due ruote, che
da oltre un secolo si celebra ogni maggio. La giornata si era aperta con una bellezza che inganna,
col sole negli occhi (durato poco) la carovana del Giro, lasciandosi alle spalle Potenza, sognando
Partenope.
Ma questa frazione si è trasformata presto in qualcosa di più grande di una corsa: una storia di uo
mini, di scelte, di rispetto reciproco.
La sesta tappa, da Potenza a Napoli, presentava un disegno sinuoso, suggestivo e insidioso, con
227 chilometri da percorrere lungo l’anima irregolare dell’Italia del Sud. Un tracciato per uomini
generosi. E infatti, due uomini generosi ci sono: Paleni e Van der Hoorn, in fuga per la gloria
invisibile, quella che si conquista a suon di chilometri davanti a tutti, senza garanzia di successo.
Una lunga avventura, portata avanti con coraggio e cuore, per onorare la corsa.
La tensione sale quando, a metà gara, una caduta di gruppo spezza la corsa. È un attimo di caos, di
frenesia e paura, ma nonostante la neutralizzazione momentanea, la gara continua a correre verso
la vittoria di tappa. I corridori si rialzano, qualcuno abbandona la corsa, come chi non può più
seguire il ritmo impietoso di questa giornata infuocata. Jay Hindley, ex vincitore del Giro, è finito in
ospedale
Nel frattempo, Paleni e Van der Hoorn continuano la loro battaglia in testa alla corsa, mostrando
cuore e gambe di ferro. Ma il gruppo è sempre lì, come un’ombra che si allunga, pronta a
riassorbire la fuga, come infatti avviene, e a giocarsi tutto nello sprint finale.
Alla fine, è nella volata di Napoli che si decide la storia. La città accoglie i corridori con un calore
tutto suo, e sul traguardo un atleta emerge con una forza e una determinazione che lasciano senza
fiato: è lui il vincitore, l’uomo che ha saputo domare la fatica, il caos e la folla per scrivere il
proprio nome nella leggenda del Giro. Lì, davanti alla linea che taglia via l’agonia e consegna
all’eternità un nome in più, è sbucato lui: Kaden Groves, australiano d’acciaio, sprinter puro, volto
scavato e gambe furiose. Ha vinto con autorità, battendo tutti, in un rettilineo denso di rispetto e
silenzio. Niente esultanze sguaiate, solo il pugno che si chiude sul manubrio e lo sguardo che cerca
il cielo. Come se la vittoria non fosse solo sua, ma anche di chi è rimasto indietro.
In classifica generale, tutto immutato. Mads Pedersen tiene la maglia rosa, e con essa il peso delle
responsabilità. Ma oggi, più che mai i leader della generale, sono stati garanti dell’onore di una
corsa che ha rischiato di sfaldarsi, e invece ha mostrato ancora una volta perché il Giro è il Giro.
Pioggia, cadute, silenzi e ripartenze. La tappa di oggi non resterà nei numeri, forse, ma nei ricordi
sì. Perché a volte, per fare la storia, basta avere il coraggio di non combattere.
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