Cerimonia di chiusura bagnata alle Paralimpiadi con considerazioni a margine

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  Cerimonia di chiusura bagnata per le paralimpiadi, come lo fu quella di apertura delle olimpiadi. Cerimonia -spettacolo con sfilata degli atleti portabandiera in ordine casuale su una passerella. Clima da ultimo giorno di scuola, che però non esime dalle riflessioni che sono sorte in questi giorni, sulle classificazioni degli atleti, che a causa della poca partecipazione di atleti della stessa categoria, costringe quelli con disabilità maggiori a competere con chi ha disabilità minori, di fatto impedendo il più delle volte il raggiungimento del risultato per i primi; una riflessione anche sulla pista di atletica che ha tradito due volte i nostri azzurri per il poco drenaggio della pioggia, oltre che per le protesi difettose. Entrambi i problemi dovrebbero potersi risolvere seriamente qualora si presentassero, affinché chiunque vi incorra, non debba rinunciare alle sue speranza, anche perché poi quattro anni sono tanti per aspettare ancora. Il bilancio per l’Italia è più che buono, ottimo: sesto posto nel medagliere generale, 71 medaglie totali, 24 ori, 15 argenti e 32 bronzi.

  Tante gioie con le vittorie, anche quelle spettacolari del nuoto, del lancio disco maschile e del peso femminile. I dispiaceri, si son concentrati tutti negli ultimi, terribili 100 metri dell’atletica femminile, ultima finale con italiane, che sebbene ci abbia dato l’oro di Martina Caironi, ci lascia del dispiacere per la caduta di Ambra Sabatini. Guardare le paralimpiadi è anche questo, uno sport di empatia da parte degli spettatori, che devono immedesimarsi nelle difficoltà di atleti che quelle problematiche, nella vita di tutti i giorni, le devono affrontare senza classificazioni e senza accorgimenti tecnici che facilitano la vita così come tante persone comuni. A volte, ci sono ancora troppe barriere. Lo sport paralimpico avrà un senso maggiore, se questi 11 giorni saranno serviti a sensibilizzare le istituzioni di tutti i Paesi, affinché nessuna disabilità sia ostacolo nella realizzazione di sé per ciascun individuo nella vita e nello sport, sempre a patto di non ledere coi propri diritti, quelli degli altri o di altre categorie già non avvantaggiate.