Mussolini, nonostante il cambiamento politico che lo portò alla guida del fascismo, rimase sempre un socialista nel profondo. Quando giunse al potere, il suo obiettivo principale era siglare un patto di pacificazione con i socialisti, ma furono proprio gli squadristi a mandare all’aria questo progetto. Mussolini, infatti, non ha mai amato i fascisti e le loro violenze, tanto da cercare, nei limiti del possibile, di contenerli e disciplinarli.
Con l’occupazione tedesca del territorio italiano, dopo il crollo del fascismo, Mussolini si trovò a capo della Repubblica Sociale Italiana, una repubblica vassalla, sotto il controllo diretto della Germania nazista. Era l’autunno del 1943 e l’Italia meridionale, sotto la tutela degli angloamericani, iniziava a ricostruire un embrione di sovranità italiana.
Nonostante la fuga disordinata da Roma, re Vittorio Emanuele III e il maresciallo Badoglio riuscirono a preservare una forma di continuità dello Stato, anche se la loro fuga fu vista da molti come un tradimento.
Re Vittorio Emanuele III e Badoglio persero l’occasione storica di riaccreditare la monarchia agli occhi degli italiani. Se il re fosse rimasto a Roma, affrontando l’invasore tedesco, e si fosse assunto la responsabilità di quanto accaduto, dicendo: "Il responsabile sono io, non il popolo né l'esercito", avrebbe potuto salvare quel poco che restava dell’onore nazionale e probabilmente anche la monarchia. Tuttavia, la scelta di fuggire e rifugiarsi a Brindisi segnò definitivamente il destino dei Savoia.
Badoglio, pur essendo l’unico professionista delle armi dell’esercito italiano, era un uomo più adatto ai campi di battaglia che alla politica o alle emergenze come quella del 25 luglio 1943. Durante la Prima Guerra Mondiale, era stato lui a pianificare l’unica battaglia manovrata, quella del Sabotino, e la sua impresa in Abissinia venne citata nei manuali di storia militare di tutto il mondo.
Tuttavia, Badoglio era incapace di gestire la crisi politica che si stava consumando in Italia e preferiva limitarsi a obbedire al re, come un soldato piemontese doc.
Durante i venti mesi della Repubblica Sociale Italiana, Mussolini si trovò a interpretare un ruolo ambivalente: da un lato, uno scudo contro la furia tedesca; dall’altro, un complice di Hitler, costretto a mantenere una fedeltà apparente a quello che in realtà era il suo vero padrone. Mussolini protestò contro le atrocità tedesche commesse in Italia, ma le sue parole non avevano alcun peso. Quando fu liberato da Otto Skorzeny sul Gran Sasso, Mussolini sperava di essere condotto in disparte e di vivere gli ultimi anni lontano dagli eventi, ma i tedeschi e gli estremisti fascisti lo obbligarono a guidare la Repubblica di Salò, un regime fantoccio in cui Mussolini non aveva alcun reale potere.
Tra coloro che si schierarono con la Repubblica Sociale Italiana ci fu un’ampia varietà di individui. Da un lato, ci furono i cosiddetti "ladri di polli", individui che videro nella Repubblica Sociale l’opportunità di arricchirsi e di regolare conti personali.
Arruolati in gran parte nella polizia di Salò, erano protagonisti di saccheggi e vendette. Questa polizia, una mediocre imitazione della Gestapo, fu il volto di un regime che cercava di sopravvivere con poche risorse e con scarso controllo.
Dall’altro lato, ci furono giovani, ventenni e persino minorenni, che, arruolandosi nel piccolo esercito di Salò, credevano di difendere l’onore nazionale e di dimostrare fedeltà all'alleato tedesco. Alcuni sperarono di poter salvare il salvabile, come Pisenti, il ministro della Giustizia, che tentò, pur in condizioni disperate, di far funzionare il sistema giudiziario italiano in modo decente. Per molti, Salò fu una protezione, un modo per continuare la loro carriera o per mantenere uno stipendio. Altri, come i combattenti della Decima MAS guidati da Valerio Borghese, scelsero di rimanere al fianco del fascismo per continuare a combattere, fedeli al loro passato militare e alle battaglie che avevano già vissuto durante la guerra.
Valerio Borghese era stato un eroe di guerra e molti aviatori e cacciatori, anche loro protagonisti di grandi imprese durante il conflitto, vollero continuare a combattere. In realtà, non tutti erano fanatici: molti, in fondo, vedevano nella Repubblica di Salò la continuazione, in qualche modo, di uno Stato, e per loro, rimanere al servizio del regime significava semplicemente mantenere la propria carriera e una parvenza di ordine in un’Italia dilaniata dalla guerra.