Giulio Andreotti. Un nome che, da solo, evoca potere, segreti e un’abilità politica fuori dal comune. Andreotti, il “divo”, torna sulla scena politica italiana nel pieno di una delle fasi più oscure e complesse del Paese, quella che segue la tragica fine di Aldo Moro. Se c’è un uomo che sa come navigare nelle acque torbide della politica, quello è proprio lui.
Dopo il dramma di Moro, l’Italia aveva bisogno di stabilità.
E chi meglio di Giulio Andreotti per traghettare il Paese fuori dal baratro del terrorismo e dell'instabilità politica? Siamo nel 1979, e Andreotti, con il suo ritorno, conferma ciò che tutti già sapevano: quando c’è bisogno di chiudere le falle, si chiama lui. Il suo terzo governo viene formato in un momento in cui l’Italia è letteralmente divisa tra chi chiede ordine e chi teme che l’ordine stesso diventi oppressione. E Andreotti, con il suo solito stile imperturbabile, si rimette al timone.
Se c’è una cosa che Andreotti sapeva fare bene, era tessere alleanze complesse. In questo periodo, la Democrazia Cristiana era dilaniata da fazioni e correnti interne, mentre all’esterno, la minaccia comunista era sempre presente. Ma Andreotti, con la sua ormai leggendaria abilità nel negoziare, riusciva a mettere d'accordo tutti o, meglio, a far sì che nessuno si sentisse escluso. Sfruttava un gioco di equilibri che lui stesso definiva “le convergenze parallele”, un concetto che suona come un paradosso, ma che nella mente di Andreotti era chiarissimo: trovare un punto comune tra forze che, in apparenza, sembravano destinate a non incontrarsi mai.
Giulio Andreotti era come il mago invisibile della politica italiana. Si muoveva senza fare rumore, ma lasciava il segno ovunque andasse. E come faceva? La sua ricetta era semplice: ascoltava, osservava e, soprattutto, aspettava. Aspettava che i suoi avversari commettessero un errore, che le correnti all'interno della DC si logorassero a vicenda, e poi colpiva. Sempre con quel sorriso enigmatico, che lasciava trasparire solo una minima parte di ciò che pensava davvero.
Un famoso aneddoto racconta di una riunione segretissima durante la quale si discuteva la strategia da adottare per fronteggiare le crescenti minacce terroristiche. Tutti i presenti erano tesi, preoccupati. Andreotti, invece, se ne stava seduto in silenzio, ascoltando con attenzione, ma senza lasciarsi coinvolgere emotivamente. Alla fine della discussione, si alzò e, con il suo solito tono calmo, disse: "Il vero segreto della politica non è trovare una soluzione a tutti i problemi, ma fare in modo che sembri che ce ne sia una". Una frase che la dice lunga sul suo approccio pragmatico.
Se Andreotti sapeva muoversi bene in patria, lo faceva altrettanto sullo scacchiere internazionale. In quegli anni, il ruolo dell’Italia nell’ambito della NATO e il suo rapporto privilegiato con gli Stati Uniti erano questioni cruciali. Andreotti, che aveva stretti legami con Washington e con il Vaticano, riusciva a mantenere un delicato equilibrio. Era un abile diplomatico, capace di gestire rapporti che andavano oltre la semplice politica. Quando c’era da trattare con gli americani, Andreotti sapeva come far valere l’importanza strategica dell’Italia nel Mediterraneo, ma al tempo stesso si mostrava un fedele interlocutore del Vaticano, mantenendo quel profilo cattolico e democristiano che tanto caratterizzava la sua figura.
Ma come ogni figura che ha segnato così profondamente la storia politica di un Paese, Andreotti non è stato immune dalle ombre. Più che un politico, sembrava il protagonista di un romanzo di spionaggio. Il suo nome, nel corso degli anni, è stato accostato a scandali, trame oscure e addirittura alla mafia. La sua figura resta avvolta nel mistero, con processi che, pur terminati con l’assoluzione, hanno lasciato un’ombra che non si è mai completamente dissipata.
Eppure, nonostante tutto, Andreotti ha sempre mantenuto quella calma serafica, quel distacco che lo ha reso unico. Come disse una volta: "A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca". E questo, probabilmente, era il suo motto di vita.
Giulio Andreotti, alla fine del suo terzo mandato, era più potente che mai. Aveva superato crisi interne, sfide esterne e persino accuse pesantissime senza mai perdere il suo aplomb. Era, a tutti gli effetti, il dominatore silenzioso della politica italiana. E chi credeva che con il suo terzo mandato fosse arrivato alla fine della carriera, si sbagliava. Perché Andreotti, si sa, è eterno. E tornerà ancora.
Ma ora è tempo di lasciare spazio a un altro protagonista. Torneremo presto con Francesco Cossiga, l’uomo che porterà l’Italia in una fase altrettanto complessa, e che non mancherà di riservare sorprese, scontri e, come sempre, drammi politici. Cossiga non è un uomo di compromessi facili, e scopriremo perché il suo passaggio alla Presidenza del Consiglio ha lasciato un segno profondo... e qualche terremoto istituzionale.