Thor Heyerdahl (1914 Norvegia – 2002 Italia) era un singolare personaggio che ha ridato slancio alla nuova epoca dei grandi esploratori, dopo la tragedia delle due guerre mondiali. Thor era un giovane Norvegese, studioso di biologia, antropologia etc. etc, ad Alghero lo avremmo definito “attrivit” azzardato e sprezzante del pericolo, voleva dimostrare la possibilità che le popolazioni del Cile avessero attraversato l’Oceano Pacifico e navigando verso Ovest avessero raggiunto e colonizzato le Isole della Polinesia. Il fatto che le popolazioni Andine e quelle Polinesiane hanno tratti somatici in comune era un indizio. In antichità l’oceano nella sua immensa vastità non era percepito come un ostacolo, ma piuttosto come un via di comunicazione per raggiungere altre terre.
Navigando con una grande zattera costruita con tronchi di balsa legati tra di loro e sfruttando le correnti equatoriali per navigare verso Ovest, attraverso l’ Oceano Pacifico. “Arres es”. Una capanna costruita in bambù, montata sullo scafo era l’unico riparo, una vela quadra poco manovrabile che raccoglieva il vento e a poppa un lungo palo che terminava con una tavola piatta che fungeva da timone. Unica concessione alla tecnologia, la radio,
un residuato bellico che trasmetteva in CW (civùdoppio) in codice Morse.
La frase convenzionale ripetitiva “all well”, tutto bene, rassicurava le stazioni radio in ascolto. La corrente elettrica per l’apparato radio era generata da un dispositivo a manovella. L’acqua potabile era raccolta all’interno delle camere delle canne di bambù, ma si faceva affidamento anche alla pioggia che non mancò. L’alimentazione si basava su una generosa fornitura di razioni da campo dell’esercito Americano, che chiese come contropartita, una dettagliata e puntuale relazione delle reazioni fisiologiche a tale alimentazione (diarree, vomiti, flatulenze, culsi, etc. etc). Il pescato integrava quella militaresca dieta. Dopo 101 giorni e circa 8000 Km di navigazione, la zattera toccò terra andando a schiantarsi sulla barriera corallina dell’isola di Raroia, arcipelago delle isole di Tuamotù. Dopo questa impresa la zattera fu raccolta (mai lasciare spazzatura in giro) e ricomposta in un museo Norvegese, Thor divenne il simbolo dei moderni esploratori e testimonial di importanti iniziative umanistiche internazionali organizzate dall’ONU. A questo punto il nostro eroe, poteva starsene secco e pesto all’asciutto?“yhe mancu pel cap” Nemmeno a pensarlo, “lu sarroni attrivit astava già rusagant lu salvell”. Il tarlo dell’avventura aveva preso possesso del cervello.
Fu così che organizzo un paio di spedizioni, sempre su zattera, per dimostrare che fra i più antichi popoli mediterranei e gli indios dell’America Centrale, intercorsero rapporti culturali, ovvero vendere i progetti delle piramidi egizie a quelle popolazioni per poi rivendicarne la paternità. “Buffama l’ul, tros de balla”
Ma un fatto simile, “i no es una “mantira” che non ebbe la stessa risonanza mediatica, si verificò ad Alghero.
Alla fine degli anni 70, una mattina di primavera, un gruppo di studenti universitari tedeschi capeggiati da un docente universitario pure lui, arrivò sul grande piazzale antistante la base della Lega Navale Italiana allora facente da confine con la “rimessa” della stazione ferroviaria. Con al seguito due lunghi camion TIR carichi di canne, tronconi di legno e molto cordame.
Tutto proveniente dalla Germania, da quanto se ne seppe, le canne erano state raccolte dal fiume Reno. Un grande e pesante telo di cotone color vinacce, si rivelò essere la grande vela quadra. I lavori di assembramento delle canne, iniziarono subito dopo aver scaricato i due rimorchi, furono legate in lunghi fasci e assiemate ai grossi tavoloni, piano piano prendeva forma la sagoma di uno scafo.
La costruzione era imponente e richiedeva molto lavoro manuale, ma da come ebbi modo di vedere, non tutti erano degli
abili costruttori, me ne accorsi da come uno di questi giovani tentasse di segare un palo di legno con un segaccio, si puntava, si bloccava e nonostante lo sforzo profuso non concluse nulla. Capitò che nel gruppo di curiosi che spesso andavano a vedere si trovava un allora giovane falegname, che mosso da orgoglio professionale, con grazia e decisione prese il segaccio e porto a termine il taglio del legno, mostrando quali accorgimenti prendere per tale operazione. Il tutto rigorosamente a scena muta, delle parole non v’era bisogno. I lavori di costruzione durarono varie settimane, tra un intoppoe l’altro, arrivo il giorno del varo.
L’enorme “vassonis”, costruito dai tedeschi, sul suolo algherese, aveva preso la forma definitiva, i lunghi fasce di canne che andavano da poppa a prua ricordavano a grandi linee la sagoma di un grosso barcone con la prua e la poppa rialzati e i fasci laterali di canne che fungevano da murata.