Un’autodidatta da Nobel: l’illustre Grazia Deledda

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  Il 7 agosto dell’anno 1938, sulle mura della Residenza Comunale della pregiata località balneare e termale di Cervia, in Emilia-Romagna, venne affissa una lapide commemorativa in onore dell’illustre premio Nobel e scrittrice Grazia Deledda; quell’iscrizione, ancora oggi, ricalca le parole ricche d’ammirazione composte dallo scrittore Antonio Baldini, che recitano: “Nella sua piccola casa sul mare, per tre lustri, ogni anno ritornando, Grazia Deledda, figlia della Sardegna, cittadina acclamata di Cervia nel 1928, massima nel suo tempo scrittrice d’Italia, qui meditò e compose, nell’armonia spirituale della pensosa e matura arte sua “La fuga in Egitto”, “Il paese del vento”, “Il vecchio e i fanciulli”; opere ispirate da questo lido a lei caro e da questa nostra gente, che fiera di tanta predilezione ne consacra oggi il ricordo”. Sono certo che se dovessimo indicare dei personaggi simbolo per gli autodidatti in campo letterario, Grazia Deledda è una di questi; e ne ricopre un ruolo fondamentale, poiché in lei la vocazione culturale è davvero profonda, e sembra trascendere l’umano sino a raggiungere una potente e maestosa inclinazione verso la ricerca interiore, infrequentemente riscontrabile in altri illustri letterati. 

  Personalmente, non definirei Grazia Deledda come “rivoluzionaria e ribelle”; bensì, la qualifica di “talentuosa” le si addice maggiormente, poiché è nell’unità delle molteplici dinamiche poetiche della Deledda, che la Dea Talento ha potuto esprimersi e sposare le forme letterarie della donna sarda. La veste poetica dello scrivere di Grazia Deledda, rivela un movimento simbolico molto chiaro, che emerge dalla sfera del Pensiero della scrittrice per divenire Bellezza e Realtà riconoscibili tra i versi e le righe dei suoi libri. Nelle pubblicazioni della Deledda, la ritmica del racconto è in continuo equilibro tra le descrizioni del rapporto “uomo-donna” con la società, e così anche quando gli oggetti diventano personificati: nientemeno che la sua villa di Cervia, infatti, ebbe la facoltà di parola, di dialogo con la stessa scrittrice, in una piacevolissima conversazione presente ne “Il contratto”. 

  Se tra coloro che leggono questo mio breve scritto, ci sono degli autodidatti poeti, filosofi o narratori, non si disperino qualora non trovino il giusto appoggio e riconoscimento nel “mondo del letterati”, dal momento che leggendo le parole dell’illustre Grazia Deledda possiate ritrovare la via, il sentiero che oltrepassa tutte le avversità: “Ho vissuto coi venti, coi boschi, con le montagne. Ho mille volte appoggiato la testa ai tronchi degli alberi, alle pietre, alle rocce per ascoltare la voce delle foglie; ciò che dicevano gli uccelli, ciò che raccontava l’acqua corrente; …ho ascoltato i canti e le musiche tradizionali e le fiabe e i discorsi del popolo, e così si è formata la mia arte, come una canzone od un motivo che sgorga spontaneo dalle labbra di un poeta primitivo”.