È scrittrice, è vero, ma anche ricercatrice e divulgatrice della cultura isolana: è mezzo secolo che Rossana Copez indaga le radici della Sardegna, quel filo che ogni sardo sente con la propria terra madre. Le fiabe popolari, le figure femminili dimenticate, i paesi che si spopolano, il senso di identità di un popolo.
«La cosa più importante è studiare la Storia di questo popolo», afferma, convinta che la conoscenza sia l’antidoto contro stereotipi e rimozioni.
Era il 1978 quando Rossana Copez e Sergio Atzeni, allora giovani sposi, decisero di affrontare quella che definisce «un’avventura straordinaria». Nelle loro mani avevano “lo scrigno prezioso” delle raccolte del glottologo Bottiglioni, che nei primi del Novecento aveva attraversato l’isola per annotare storie e leggende popolari. «Erano racconti schematici, privi di stile narrativo, appena accennati», ricorda. L’obiettivo era restituire loro una voce.
Così Copez e Atzeni si misero a “unire, collegare e ampliare il testo-base”, dando vita ai personaggi fantastici che oggi tutti conoscono: «Janas, folletti scherzosi, cavallini verdi, cani ribelli».
Pochi giorni prima di Natale, le librerie della Sardegna espongono Fiabe Sarde, firmato da entrambi e illustrato da Franco Pruna. Nasce lì, per Copez – “cagliaritana da generazioni” – il bisogno di «uscire dal mio orticello cittadino» e scoprire profondamente l’isola. Da qui l’iscrizione alla Scuola di Specializzazione di Studi Sardi diretta da Giovanni Lilliu: «Un percorso biennale indimenticabile».
Cagliari, negli anni ’70, era un mondo a sé. «Tra città e paesi c’era un distacco culturale notevole e anche un po’ di razzismo, a dirla tutta», afferma, citando una delle fiabe, Il Maurreddino, come emblematico specchio di quel clima.
Proprio l’insegnamento a scuola le offre un canale naturale per condividere la cultura dell’isola: «Insegnando letteratura è stato facile incuriosire i ragazzi, inserendo confronti e citazioni dei nostri scrittori, noti e meno noti».
Dietro questa crescita d’attenzione c’è un contesto preciso. «Dagli anni ’70 comincia una sensibilità nuova verso storia e cultura sarda», spiega. Centrale, secondo lei, il contributo universitario: gli studi di Ernesto De Martino, Clara Gallini, Giulio Angioni, Enrica Delitala, insieme alla legge regionale che promuove l’insegnamento della cultura sarda nelle scuole.
Per Copez, identità e autostima collettiva vanno insieme.
«La consapevolezza della propria identità è legata all’autostima del popolo», dice. Nei corsi che teneva sull’argomento, proponeva un gioco che evidenziava lo scarto tra la percezione del territorio e quella dei sardi stessi: Sardegna vista come “splendida, misteriosa, accogliente”, ma i sardi descritti con aggettivi spesso negativi, “pastore, bandito, basso e peloso”.
A suo giudizio, la via maestra non è la cristallizzazione. «La cosa più importante è studiare la Storia di questo popolo», sottolinea. E aggiunge: «Non sono d’accordo né con la museizzazione della lingua né con l’ostentazione folkloristica per i turisti».
Tra i suoi libri, confida di essere più legata a Violante e Cercandocieli (ed. Il Maestrale): «Il primo mi ha tenuto compagnia in un periodo difficile, il secondo mi ha aiutato a raccontarlo e condividerlo». E se Violante e Terra mala (ed. Il Maestrale) sono opere molto diverse – «uno l’ho scritto da sola, Terra mala con Giovanni Follesa» – il lavoro a quattro mani, dice, «arricchisce sempre».
La Sardegna, afferma, resta il suo centro creativo: «È talmente ricca di colori, di suggestioni, di pietre che raccontano mondi arcaici, che mi è difficile varcare il mare».
Scrivere, per lei, è condizione complessa: «A volte fuoco, a volte straniamento e anche fatica, tanta fatica fisica, mentale ed emozionale».
Ricerca e narrazione, confessa, per lei non sono separabili.
«Vado a spulciare nella storia e trovo personaggi, soprattutto femminili, poco narrati e quasi sconosciuti». Come Violante Carroz – «la prima feudataria donna» –, Benedetta, giudicessa di Cagliari, o la Capitana di Terra mala, “non storica, ma verosimile”.
Guardando all’isola di oggi, Copez vede un destino sospeso: «Pian piano si spopola, e forse la natura si riapproprierà del territorio. A me piacerebbe davvero veder salvi boschi e torrenti capricciosi», dice. E sogna un turismo diverso: «Fare del turista un viaggiatore curioso e rispettoso». Ai sardi, suggerisce, spetta «offrirsi con onestà culturale» e pretendere «rispetto e ammirazione e non devastazione».
Quanto alle nuove voci della letteratura, sceglie la prudenza: «Posso dire che tutte e tutti promettono, e questo è bene. Il tempo dirà chi era marinaio».
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