In concomitanza con le tappe in Sardegna di Goletta Verde, la storica
imbarcazione dell’associazione ecologista che da decenni verifica lo
stato di salute dei mari italiani, ad Alghero si è voluto parlare di
spiagge, di sistemi dunali e del cronico ed annoso problema della
posidonia spiaggiata.
Nell’incontro/convegno, come è stile di Legambiente, sono stati
ascoltati i diversi pareri su un tema che crea sempre molte polemiche.
Sono intervenuti, tra gli altri, Stefano Visconti per il Consorzio
Turistico Riviera del Corallo e Bruno Costantino come vice presidente
provinciale Sindacato Italiano Balneari.
Nel suo intervento, Roberto Barbieri, naturalista e responsabile di
Legambiente Alghero, ha cercato di raccontare la storia recente della
rada di Alghero, con la nascita, nel dopoguerra, della bella pineta di
Maria Pia, ma anche con la costruzione delle grandi dighe foranee, del
porto di Fertilia, e con il posizionamento delle barriere
salvaspiaggia davanti al lido. Negli anni, si è avviato un forte
processo erosivo che ha interessato la costa dall’ospedale marino a
Fertilia. Enormi quantità di sabbia si sono spostate verso il mare o
si sono accumulate nelle due estremità della rada, protette dalle
barriere e dai moli.
Di fatto sono nate due spiagge che prima non
esistevano: un tratto di spiaggia ad est del molo di Fertilia, e che
versa oggi in condizioni di abbandono, e l’ampia spiaggia oltre il
molo sottoflutto di Alghero. Entrambe le spiagge vennero però
identificate come punti di stoccaggio delle foglie spiaggiate di
posidonia. Ma non c’è ragione per cui queste belle spiagge non possano
essere consegnate alla fruizione pubblica. I banchi di posidonia
spiaggiata aiutano certo a proteggere i litorali dalle mareggiate
invernali, ma soprattutto nelle zone in erosione, non in quelle di
accumulo.
Però, anche con l’auspicabile recupero della bellissima spiaggia di
via Garibaldi, resta insoluto il problema dei reflui in uscita dal
canalone di San Giovanni (e dello scarico del molo sottoflutto).
Anche quest’anno, dalla analisi dei tecnici di Goletta Verde, le acque
del canalone (ma non quelle del mare antistante) sono risultate
fortemente inquinate. E’ perciò evidente che in questo collettore si
inseriscono scarichi abusivi di privati. Il problema può essere
risolto solo a monte, con il rilancio di questi reflui verso il
depuratore.
Ioltre, nell’ambito più generale di una corretta gestione della fascia
costiera, Legambiente evidenzia che nulla si è fatto e si fa per
tutelare i preziosi fondali di posidonia. Nel mare, sono proprio
queste piante, quando sono vive ed in buona salute, a contrastare
efficacemente l’erosione ed a consentire la presenza di un ricco
ambiente sommerso. E sono a loro volta gli scheletri di tanti
organismi marini ad alimentare di sabbia le spiagge della rada. Ma
questa pianta è aggredita da tutte le parti ed è in forte
regeressione.
E’ indebolita dall’inquinamento e scalzata dalle ancore
delle barche. In particolare sarebbe ora di posizionare almeno due
grosse boe d’ormeggio per le navi da crociera ed impedire che usino le
loro ancore e catene. Bisognerebbe anche pensare al posizionamento di
barriere sommerse artificiali che contrastino l’erosione nel tratto
costiero dalla pineta Maria Pia a Fertilia.
In Sardegna Legambiente ha maturato una lunga esperienza di studio
sulla posidonia. A suo tempo (2001), ha coordinato, in accordo con il
Ministero dell’Ambiente, la prima mappatura integrale del posidonieto
sardo. Ci dispiace non essere coinvolti nelle conferenze di servizi
per apportare il nostro contributo.
Legambiente propone di curare tutto l’anno lo stato di salute del
posidonieto della rada di Alghero, così come farebbe un buon
giardiniere, e di rimuovere, con semplici sorbonature poco costose,
gli strati di foglie morte che si depositano annualmente davanti alle
spiagge.
Questa ultima operazione diminuirebbe l’arrivo di foglie
sulla spiagge e la loro conseguente rimozione estiva con il complicato
recupero della componente sabbiosa. In ogni caso deve essere trovato
un accordo con la regione per poter movimentare i cumuli di foglie,
lasciandone una quantità limitata nella parte alta delle spiagge
libere (per aiutare le barriere in canne a contenere la sabbia) e per
eventualmente riposizionarli d’inverno nelle aree in erosione.
E poi non dimentichiamoci che se le spiagge balneabili hanno un
elevato valore economico (valutabile in circa 1000 euro a mq) i
fondali a posidonia valgono altrettanto perché permettono a quelle
piagge di conservarsi nel tempo.
Maria Antonietta Alivesi del Gruppo di intervento giuridico, ha
parlato dei sistemi dunali della costa algherese ed ha, in
particolare, richiamato l’attenzione sui fragili equilibri della baia
di Porticciolo e sulle rare piante ivi presenti (Anchusa sp.).
Vincenzo Tiana, presidente del comitato scientifico di Legambiente
Sardegna, ha ricordato le buone pratiche già messe in atto in più
spiagge sarde, ricordando tra l’altro il progetto esecutivo di
Stintino per rimuovere la strada costiera che corre lungo lo
straordinario arenile della Pelosa.
Ed occorre aiutare la natura a
ritrovare il proprio equilibrio, anche con buone e semplici norme di
comportamento da parte dei bagnanti.
Si è infine lanciato un grido d’allarme: le grandi nacchere, una delle
specie simbolo dei mari d’Europa, a Porto Conte stanno morendo. Questa
volta non sembra colpa del bracconaggio o della scarsa efficienza
gestionale dell’area marina protetta di Capo Caccia. I bivalvi sono
apparentemente vivi, appena socchiusi e fissati al fondo nel loro
ambiente di posidonia, ma molti esemplari sono morti.
Inoltre stanno
morendo soprattutto gli esemplari adulti (la specie può vivere decine
di anni) mentre sono sempre più gli individui giovanili, con
conseguente basso ricambio generazionale.
Si ha notizia che anche nel mare di Olbia (amp di Tavolara) sta
accadendo la stessa cosa. Forse si tratta di un agente patogeno. In
ogni caso occorre intervenire subito per capire le cause della moria e
per attuare, se possibile, azioni di contrasto. Sarebbe inoltre
necessario uno scambio di informazioni tra i ricercatori della
comunità scientifica per meglio comprendere la portata geografica del
fenomeno.