“Le imprese sarde continuano a prendere solo le briciole degli
appalti pubblici banditi in Sardegna. Dei quasi 1,6 miliardi
complessivi di spesa pubblica per opere infrastrutturali di importo
superiore a 1 milione di euro aggiudicate in Sardegna negli ultimi due
anni e mezzo, quasi 1,3 miliardi hanno lasciato l’isola. In pratica,
meno del 20% della spesa pubblica stanziata per realizzare le
infrastrutture rimane nella nostra regione”.
E’ questo l’amaro incipit utilizzato dal segretario regionale della
CNA Francesco Porcu e dal presidente di Cna Costruzioni Antonello
Mascia nel commentare l’ultima indagine prodotta del Centro studi
della Cna Sardegna, secondo cui soltanto il 39% delle 207 gare di
lavori pubblici di importo superiore a un milione aggiudicate
nell’isola tra gennaio 2016 e giugno 2019 è stato affidato a imprese
sarde.
In termini di valore, il dato è ancora più sconcertante:
l’80,1% della spesa è stata infatti assegnata a competitors
provenienti dal continente o, in misura poco rilevante, a imprese
internazionali.
I ribassi medi. Un aspetto significativo rilevato dallo studio della
Cna sarda riguarda i ribassi medi. Le imprese sarde praticano infatti
uno sconto più basso (in media sul 24,5% contro il 26,2% delle altre
imprese). In altre parole, per aggiudicarsi opere di importo medio
pari a 3,8 milioni, le imprese sarde hanno offerto uno sconto
inferiore di circa 2 punti percentuali rispetto alle altre imprese,
assegnatarie di lavori decisamente più rilevanti, pari in media a 10,3
milioni.
Questo dato – rileva la Cna sarda - suggerisce una certa competizione
sulle opere di maggiori dimensioni, opere a cui le imprese sarde,
fanno fatica ad accedere. Basti osservare che su 35 gare di importo
superiore a 10 milioni aggiudicate nel periodo, 30 sono state
assegnate a imprese provenienti da altre regioni, ovvero l’85% del
numero dei contratti per il 90% del relativo valore.
Ma da dove arrivano imprese (e manodopera) che realizzano le opere in
regione? Escludendo le imprese sarde, le imprese laziali guidano la
classifica numerica, con 42 aggiudicazioni (il 33% del totale),
seguite da emiliane, campane e lombarde. Sul fronte economico le
laziali e le emiliane si confermano alle prime due posizioni, con
livelli di spesa per le prime pari a più del doppio delle seconde (484
milioni contro 213), stessa proporzione osservabile in termini
numerici.
Al terzo posto le lombarde, seguite dalle imprese toscane,
lasciando così le imprese campane al quinto posto per importo dei
lavori aggiudicati da realizzare in Sardegna. Oltre alla Campania, tra
le regioni meridionali di provenienza delle imprese, sono ben
rappresentate le siciliane e le pugliesi, ma anche alcune imprese
estere, aggiudicatarie di 5 contratti (più di quanti assegnati a
imprese pugliesi), per un valore a base di gara di 39 milioni.
Tornando allo sconto medio, non considerando i casi in cui la presenza
dell’informazione sulla percentuale di ribasso riguarda un solo
contratto, sconti superiori al 30% sono offerti dalle imprese venete,
siciliane, emiliane e pugliesi, mentre i livelli più bassi riguardano
le imprese “di casa”, superate solo dalle laziali. Ma mentre le
imprese sarde hanno offerto un ribasso pari a 24,5% per aggiudicarsi
contratti importo medio pari a 3,8 milioni, le laziali hanno ribassato
in media del 21% per contratti di dimensioni più rilevanti, pari in
media a più di 10 milioni.
In sintesi quello che emerge è una maggiore presenza delle imprese
extra regionali al crescere del taglio dei lavori e soprattutto una
concorrenza marcata che si riflette in percentuali di sconto praticate
da imprese non sarde spesso superiori al 30%”.
Le imprese sarde si
muovono invece nella classe dei lavori medio-piccoli, dove una
relativamente meno rigida concorrenza consente di offrire sconti più
contenuti. Un caso a parte sono le imprese laziali che riescono a
contenere lo sconto medio intorno al 20%. Un risultato su cui incidono
percentuali molto basse offerte per aggiudicarsi concessioni per la
gestione e riqualificazione tecnologica ed energetica degli impianti
di illuminazione pubblica.
“I Governi regionali fin qui succedutisi – dichiarano Porcu e Mascia -
hanno confinato in un cono d’ombra un comparto strategico. Occorre che
il nuovo Governo regionale definisca con urgenza una politica
industriale per il settore che orienti il modello dell’offerta verso
forme più strutturate, che assecondino e favoriscano il processo di
modernizzazione del tessuto produttivo, attraverso l’istituzione e
l’utilizzo di strumenti che incentivino le aggregazioni, premino la
formazione, l’innovazione, i processi di consolidamento e di
qualificazione dei soggetti imprenditoriali.
Politiche che è possibile
mettere in campo se con decisione la mano pubblica orienta
l’allocazione delle risorse verso politiche del riuso, della
riqualificazione del patrimonio pubblico e privato,
dell’efficientamento energetico, della rigenerazione urbana, che oltre
a produrre enormi ricadute collettive sono funzionali a promuovere e
far crescere il tessuto produttivo delle imprese locali”.