Sono giornate di testimonianza, ricorrenze dolorose ma utili per non
dimenticare. Mario Carboni ha affidato alla rete una sua memoria.
Il l 16 ottobre 1943, iniziò la testimonianza di un sardo che rischiò
tutto, compresa la vita sua e quella dei suoi cari, per salvare a Roma
degli ebrei che rischiavano di essere fatti prigionieri dai
nazifascisti e avviati nei carri-bestiame come fu per tantissimi loro
correligionari nei campi di sterminio.Non fu il solo fra i numerosi
sardi che si comportarono nella stessa maniera diventando Giusti fra
le nazioni.
Vogliamo, dobbiamo ricordare Vittorio Tredici, per
ricordare tutti gli altri come lui e per non dimenticare. Ma non
dimenticare davvero ciò che sembrerebbe impossibile anche solo
concepire ma che invece fu cruda realtà cancellando con brutalità ed
efferatezza inarrivabili la vita di milioni di ebrei nella Shoà. In
Israele nel Giardino dei Giusti tra le Nazioni, a Yad Vashem, dal 1997
c'è un albero dedicato a Vittorio Tredici ( Iglesias 1892 - Roma 1967
).
Ufficiale combattente e decorato al valor militare nella Grande
Guerra fu uno dei più importanti fondatori del PsdAz-Partidu Sardu
d'Atzione e animatore del sardismo cagliaritano nel primo dopoguerra.
Dopo aver combattuto lo squadrismo con le camicie grigie sardiste al
fianco di Emilio Lussu, in seguito aderì al particolare fenomeno
politico noto come il “sardo-fascismo” con Egidio Pilia, Giovanni Cao,
Enrico Hendric, Paolo Pili che si ripromettevano di influenzare in
senso autonomista e sardista il fascismo isolano.
Fu prima commissario
prefettizio (1924-1926 ) e quindi Podestà (1927-1920 ) di Cagliari,
dove operò con onestà ed efficienza.Trasferitosi a Roma operò sino a
cadere in disgrazia presso il fascismo per la sua opposizione
all'entrata in guerra e alle politiche razziste e anti giudaiche del
regime.Deluso prese attivamente alla vita della sua parrocchia, la
Chiesa di Santa Lucia .
Il parroco Ettore Cunial, suo intimo amico,
raccontava che Vittorio Tredici era il “factotum dell'Azione Cattolica
e delle opere di carità della Parrocchia”.Dal 16 gennaio 1943, giorno
d'inizio della razzia nazista nel Ghetto romano, Vittorio Tredici e la
sua famiglia ospitarono e salvarono famiglie di ebrei che evitarono
così di essere uccisi nei lager di sterminio nazisti, aiutandole anche
oltre la Liberazione di Roma.
Nell'azione erano impegnate oltre ad un
commando inviato appositamente da Adolf Eichman e guidato dal suo
collaboratore fidato Denneker, alcune compagnie messe a disposizione
dal comandante la piazza di Roma Stahel: in tutto 365 uomini.I
militari tedeschi cercavano in via Sabotino la famiglia Funaro:
l'unica famiglia di ebrei che abitavano il palazzo.Il portiere del
palazzo, si accorse del pericolo e avvisò immediatamente i Funaro che
si precipitarono fuori dell'appartamento che si trovava al quinto
piano.Con l'ascensore scesero al primo piano mentre i tedeschi
salivano le scale.
Il portiere , con prontezza di spirito, li nascose
prima nel vano dell'ascensore e poi avvertì Vittorio Tredici che li
fece entrare nel suo appartamento, dove viveva con la moglie e i suoi
nove figli.
I tedeschi nell'appartamento dei Funaro trovarono solo Rodolfo, il
padre di Vittorio Funaro che era malato e immobilizzato a letto.Il
portiere disse loro che aveva una gravissima malattia infettiva e i
tedeschi pur contrariati lasciarono lo stabile di via Sabotino a mani
vuote.
Il camion, dopo essersi fermato agli altri indirizzi della zona, si
diresse verso sud per il lungotevere e a mezzogiorno raggiunse il
punto di raccolta nel Collegio militare a Via della Lungara.Qui 1265
persone, chi ancora in camicia da notte, chi vestito alla meglio sotto
la minaccia delle armi e delle percosse, donne, bambini, uomini e
anziani, vagavano per gli stanzoni cercando di riunire famiglie, darsi
conforto, disperandosi.
Dopo due giorni i rastrellati vennero deportati
su carri bestiame piombati ad Auschwitz.Soltanto 15 fecero ritorno. I
Funaro nell'abitazione di Tredici ripresero fiato.Rodolfo Funaro salì
nel suo appartamento a prendere il padre malato e con l'aiuto di
Tredici, trovò una sistemazione per la moglie Virginia e il
figlioletto Massimo in un istituto di Suore a Monteverde.
Rodolfo, il
padre Vittorio e la madre Ester Gay, trovarono rifugio
altrove.Successivamente Vittorio Tredici collaborò col Parroco Clunal
per nascondere ebrei e ricercati e partigiani nei locali della
Chiesa.Vittorio Tredici era un cattolico praticante e frequentava la
Parrocchia sopratutto dopo che il fascismo lo aveva deluso e respinto
per la sua opposizione alla guerra e alle leggi razziste, per questo
poté partecipare ad una delle reti di aiuto agli ebrei in fuga che
vide laici e religiosi operare a Roma assieme e che salvarono così
tanti ebrei dai nazifascisti.
L'attività di Tredici e del suo parroco
non era un'eccezione nella Roma occupata dai nazifascisti che vide
moltissimi romani trovare in quei mesi un coraggio ed una
determinazione che forse neppure i tedeschi sospettavano, e che
dimostrarono come le leggi razziali fossero respinte dalla coscienza
della maggioranza della popolazione.
E' stato stimato che oltre 4000
ebrei furono salvati dalle reti della chiesa cattolica e dai cittadini
sino a quando gli Angloamericani entrarono nella Città eterna il 4
giugno del 1944 e la liberarono. L'attività di Vittorio Tredici si
estese al sostegno della Resistenza in Roma a rischio della vita e di
quelle della sua famiglia.Nel dopoguerra una sentenza di
proscioglimento riconobbe che tutte le attività svolte da Vittorio
Tredici durante il regime fascista erano state di natura tecnica e fu
quindi assolto da ogni responsabilità nei crimini del
fascismo.
Conseguentemente un provvedimento della Sezione speciale per
le epurazioni del Consiglio di Stato lo reintegrò nel suo ruolo
lavorativo che aveva ricoperto precedentemente.Per le sue attività
umanitarie, per aver rischiato la vita nel salvare da morte sicura
famiglie di ebrei a rischio della propria vita, Vittorio Tredici
ottenne postumo il riconoscimento di Giusto fra le Nazioni che gli fu
conferito il 16 giugno 1997.
L'ambasciatore israeliano in Italia
consegnò ai familiari una medaglia e un attestato il 20 novembre del
1997 e il suo nome fu iscritto sul "Muro d'onore" o "Muro dei giusti"
nel Giardino dei Giusti del museo Yad Vashem a Gerusalemme.
La memoria
di questi Giusti, perché anche altri sardi lo furono, non deve andare
perduta e sarebbe cosa buona e utile se oltre a ricordarli, a loro
venisse dedicato un Giardino/bosco dei Giusti da affidare
all'Associazione Chenàbura-Sardos pro Israele che fa parte della
Federazione Associazioni Italia-Israele e venissero intitolate strade,
piazze e scuole delle nostre città e paesi.
Il Presidente Mario
Carboni -Associazione Chenàbura-Sardos pro Israele-
chenabura@gmail.comcagliari@federazioneitaliaisraele.it- cell.
3396928227
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