Una targa per Giuseppe Ignazio Loi, il pastore che ha portato la Sardegna sul grande schermo

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Non capita spesso che un pastore finisca accanto a Diego Abatantuono e Geppi Cucciari, e riesca pure a rubare la scena. Ma Giuseppe Ignazio Loi, protagonista del film “La vita va così”, non ha recitato: ha semplicemente vissuto davanti alla cinepresa. E forse è proprio questo il segreto del suo successo.

A riconoscerlo ora è il Centro Studi Agricoli, guidato da Tore Piana, con Stefano Ruggiu vicepresidente e Monica Pisanu tesoriera. Hanno deciso di consegnargli una targa di riconoscimento “per aver rappresentato al cospetto dell’Italia e del mondo la dignità, la libertà e la fierezza del Popolo Sardo: libero, resistente, padrone della propria Terra.”

Dietro la cerimonia, che verrà annunciata nei prossimi giorni, c’è più di un semplice gesto simbolico. C’è una Sardegna che si guarda allo specchio e si riconosce in un volto vero, rugoso, sincero. “Giuseppe Ignazio Loi non ha interpretato un ruolo: ha portato sullo schermo sé stesso, la sua storia e la storia di un popolo,” spiega Tore Piana. “Nel suo volto e nelle sue parole c’è la fierezza antica dei sardi che vivono la Terra non come proprietà, ma come identità, destino comune e responsabilità collettiva.”

Per il Centro Studi Agricoli, quella di Loi non è un’apparizione cinematografica ma un atto politico, quasi una forma di resistenza civile. “Il suo messaggio è chiarissimo,” aggiunge Piana insieme a Ruggiu e Pisanu. “La Sardegna non è terra da colonizzare né da amministrare come periferia. La Sardegna è Nazione, e i sardi sono un Popolo che non ha mai smesso di difendere la propria dignità.”

Nel film, Loi racconta la sua quotidianità: le mani segnate dal lavoro, la casa finalmente ampliata, il bagno nuovo costruito grazie ai compensi della pellicola. Una scena minima, ma potente. “È la differenza tra assistenzialismo calato dall’alto e progresso conquistato con il lavoro, l’autonomia e la dignità,” spiegano i promotori del premio.

In fondo, tutta la vicenda di Loi è una parabola sarda. Un uomo che non cambia mestiere per fare il protagonista, ma diventa protagonista proprio perché non cambia mestiere. Ha continuato a fare il pastore, ma con un riflettore puntato addosso — e senza smettere di parlare la lingua della sua terra.

La cultura, quando è autentica, nasce così: dal silenzio di chi lavora e dalla verità di chi non finge. E Giuseppe Ignazio Loi, che forse non ha mai studiato recitazione, ha dato alla Sardegna una lezione di identità che nessuna accademia poteva insegnare.