Ogni estate il Cagliari Calcio si presenta ai nastri di partenza del mercato con buoni
propositi e una narrazione ben confezionata, in cui il tifoso, come spesso accade, è
il destinatario ideale: rassicurato, coinvolto, motivato a credere. Succede quindi che
a inizio giugno o poco dopo, quando il termometro ancora non ha raggiunto i picchi
agostani ma la fame di notizie calcistiche è già al massimo, parta la consueta
campagna abbonamenti, spesso sostenuta da annunci di riscatti o conferme che
fanno immaginare una squadra in costruzione solida, con una visione. Ed è lì che il
tifoso sottoscrive la propria fedeltà, con entusiasmo, spesso sulla base di una rosa
ancora non definita ma percepita come affidabile. Poi però, quasi con una
puntualità disarmante, accade sempre qualcosa: a campagna abbonamenti chiusa
o in fase avanzata, arriva la cessione inattesa. O il depotenziamento. Non prima,
sempre dopo. La società non agisce nell’illegalità, sia chiaro, ma il tempismo
genera una dinamica opaca sul piano della comunicazione e della relazione con chi
sostiene il club anche economicamente. Non è solo questione di vendere: è il
momento in cui si vende. È successo nel 2019, quando Barella – talento cresciuto
in casa, simbolo e valore sportivo conclamato – venne ceduto all’Inter per una cifra
complessiva attorno ai diciotto milioni di euro, secondo quanto riportato da
Transfermarkt e dalla Gazzetta dello Sport, somma comunque distribuita in più
esercizi. La cessione fu accompagnata dalla promessa, implicita e poi ribadita, che
quel denaro sarebbe stato reinvestito per rafforzare l’organico. Ma il mercato
successivo non offrì né nomi di pari livello né un salto qualitativo effettivo. Il
risultato? Una rosa indebolita e una tifoseria che, pochi mesi dopo, si ritrovò a fare i
conti con una realtà molto diversa da quella suggerita in estate. E oggi, nel 2025, il
rischio è di ritrovarsi in uno schema simile. La questione non riguarda solo i singoli
– nessuno farebbe drammi per l’eventuale partenza di Makoumbou, tanto per citare
un nome – ma per chi arrivasse dopo per sostituirlo. Perché se si punta tutto sul
ringiovanimento della rosa senza affiancare a questi giovani delle figure esperte, si
crea un gruppo potenzialmente instabile, tecnicamente vulnerabile e privo di punti
di riferimento. È il caso di Viola, che forse ha smesso da tempo di garantire ritmi
alti, ma la cui esperienza, in uno spogliatoio pieno di ragazzi alla prima esperienza
in A, avrebbe rappresentato un’ancora preziosa. Invece sembra che si preferisca
spesso trattenere giocatori che, pur non incidendo né in campo né fuori, vengono
rinnovati e confermati con una logica che sfugge al merito. Nel frattempo, si rischia
di perdere anche chi invece andrebbe blindato e non con solo il riscatto: Caprile, ad
esempio, che rappresenta una delle poche certezze tecniche e prospettiche su cui
costruire. Perdere anche lui, in un momento così delicato, significherebbe azzerare
definitivamente ogni ambizione di crescita e dare l’ennesimo segnale di
improvvisazione. Tutto questo accade a Cagliari, dove la piazza non ha mai chiesto
fuochi d’artificio ma solo coerenza. Dove il “quando” delle scelte pesa quanto il
“cosa” si decide. Dove la narrazione estiva è spesso più rassicurante della realtà
settembrina. E dove forse è tempo di smettere di raccontare stagioni che non
esistono e iniziare a costruire, con trasparenza e criterio, una squadra che
corrisponda alle aspettative che la società stessa contribuisce a creare.
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