L’Isola arranca. Non per mancanza di risorse o intelligenze, ma per l’inazione di una classe dirigente abituata a servire, a chiedere, a elemosinare. Il XXIII Rapporto dell’Inps, presentato oggi a Cagliari, è la fotografia impietosa di un territorio che muore lentamente. Invecchiamento, denatalità, pensioni da fame: ecco i tre flagelli che stanno riducendo la Sardegna a una terra di vecchi e di vuoti.
La situazione è chiara: una popolazione che invecchia più velocemente del resto d’Italia, una natalità che crolla senza freni, assegni pensionistici da 1.240 euro al mese, i più bassi della nazione. Non serve un economista per capire dove stiamo andando: verso il baratro. I dati parlano di 425.000 pensioni in vigore e appena 20.495 nuove liquidazioni nel 2023. La struttura demografica è così sbilanciata che ogni sforzo appare vano. Ma non è solo colpa delle dinamiche interne. Questo declino è il risultato di decenni di politiche centrali che trattano la Sardegna come un peso morto, un'appendice da sfruttare e abbandonare.
Il problema non è il mercato del lavoro, che pure arranca, né solo la demografia. Il problema è l’assenza di sovranità.
La Sardegna è vincolata a decisioni prese altrove, da uno Stato che la usa come laboratorio di tagli e inefficienze. A questo si aggiunge l’Europa, che con le sue regole fiscali e vincoli di bilancio soffoca ogni possibilità di rilancio economico. E sopra tutto questo c’è l’ombra lunga degli Stati Uniti, che governano il sistema economico globale con il loro pugno di ferro, lasciandoci solo le briciole di una globalizzazione che serve loro e a pochi altri.
Sentiamo discorsi di efficientamento, promesse di progresso. Si parla di tempi ridotti per le pensioni, di miglioramenti negli uffici. Ma che cos’è questo, se non il minimo sindacale? Dove sono le soluzioni strutturali? Perché nessuno parla di una fiscalità davvero differenziata per la Sardegna, che le permetta di sfruttare le sue peculiarità? Perché non si parla di infrastrutture, di una visione che dia ai giovani un motivo per restare?
Non ci si può più accontentare di aspettare che Roma, Bruxelles o Washington decidano il nostro destino.
La Sardegna deve rivendicare con forza il proprio diritto a governarsi. Non servono altri convegni o rapporti; serve un’azione decisa, radicale. L'Isola ha le risorse, ha la posizione geografica per essere un ponte tra Europa e Mediterraneo, ma per farlo deve liberarsi delle catene che la tengono prigioniera.
La Sardegna non può continuare a essere terra di passaggio per decisioni prese altrove. I numeri dell’Inps sono un’ulteriore condanna di chi governa, di chi preferisce parlare invece di agire, di chi accetta passivamente un ruolo di sudditanza. Se non si cambia ora, non si cambierà mai. E allora, quando l’ultimo giovane lascerà l’Isola, potremo finalmente dichiarare che non c’è più niente da salvare.