Populismi, il grido del nostro tempo - Figlio della crisi economica

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  In un’epoca di disorientamento sociale, economico e politico, il populismo si è imposto come il fenomeno più dirompente degli ultimi decenni. Non è un caso, né una semplice moda: è il risultato di una crisi di rappresentanza che attraversa tutte le democrazie moderne.

  I populismi, tanto a destra quanto a sinistra, si nutrono del rancore, della frustrazione e dell’abbandono di intere fasce della popolazione. Ma perché oggi il populismo domina la scena globale? Cosa è cambiato nei partiti tradizionali, in particolare nella sinistra, che un tempo parlava il linguaggio del popolo e ora sembra detestarlo? In questa rubrica, analizzeremo le cause profonde del successo populista, le sue caratteristiche e i motivi per cui la sinistra, dopo aver dominato culturalmente e politicamente per anni, è diventata incapace di rispondere al malcontento facendo traslare suoi vecchi contenuti a destra. 

  Ogni epoca ha i suoi fantasmi, e quelli di oggi si chiamano insicurezza economica e disuguaglianza. Per comprendere il successo dei populismi, bisogna partire da un dato di fatto: la crisi economica del 2008 ha cambiato tutto. Non è stata solo una recessione, ma un terremoto che ha messo a nudo la fragilità del sistema globale. Quella crisi ha lasciato una cicatrice profonda, soprattutto in Europa, dove intere nazioni sono state piegate dall’austerità e dalla disoccupazione. La globalizzazione, che per anni era stata presentata come una forza inarrestabile e positiva, ha mostrato il suo lato oscuro. I benefici sono stati raccolti da pochi, mentre le conseguenze negative – perdita di posti di lavoro, precarizzazione e abbassamento dei salari – sono ricadute sulle classi lavoratrici e medie. In Italia, le aree industriali del Nord e le zone rurali del Sud hanno vissuto una crisi doppia: economica e identitaria. Il risultato è stato un senso di abbandono che nessuna forza politica tradizionale ha saputo affrontare. In questo contesto di smarrimento, il populismo ha trovato terreno fertile. 

  Leader come Donald Trump, Marine Le Pen, Matteo Salvini e Alexis Tsipras (anche se su posizioni diverse) hanno saputo intercettare la frustrazione della gente comune. Il loro messaggio era semplice: “Il sistema è contro di voi. Noi siamo qui per distruggerlo e restituirvi il controllo.” Il populismo, però, non è nato dal nulla. È una risposta diretta a un sistema che ha smesso di funzionare per una parte significativa della popolazione. La crisi economica ha distrutto le certezze del passato e ha lasciato milioni di persone senza prospettive per il futuro. Non potendo fidarsi più delle istituzioni tradizionali, hanno cercato risposte in chi prometteva soluzioni rapide e radicali. Ma dove era la sinistra in tutto questo? Un tempo paladina dei lavoratori, è stata tra le prime a piegarsi alle logiche della globalizzazione e del mercato. Dagli anni ’90 in poi, la sinistra ha abbandonato le sue radici per inseguire il consenso della classe media urbana e delle élite intellettuali. Questo spostamento ha creato un vuoto politico che i populisti hanno riempito. In Italia, il caso del Partito Democratico è emblematico. 

  Nato come erede della tradizione comunista e socialista, ha progressivamente abbracciato politiche liberiste, lasciando campo libero a movimenti come il Movimento 5 Stelle e la Lega, che hanno saputo parlare a chi si sentiva escluso dal progresso economico. Un altro elemento fondamentale è la divisione geografica che la crisi ha accentuato. Le città, che hanno beneficiato di investimenti e innovazione, si sono distanziate dalle periferie e dalle aree rurali, che invece hanno subito l’impatto maggiore della crisi. Questo ha creato due mondi paralleli: uno che guarda al futuro con ottimismo e uno che vede solo precarietà. È in quest’ultimo mondo che il populismo ha trovato il suo elettorato. Il populismo non è un capriccio, né una semplice reazione emotiva. È un fenomeno radicato nelle trasformazioni economiche e sociali degli ultimi decenni. Condannarlo senza comprenderne le cause è inutile. Perché il populismo non è la causa della crisi della democrazia, ma il suo sintomo più evidente. E finché le disuguaglianze continueranno a crescere, finché ci saranno fasce della popolazione abbandonate a se stesse, il populismo continuerà a prosperare. Nel prossimo articolo, esploreremo come la sinistra, dopo aver abbracciato il liberismo, abbia perso il contatto con le classi popolari, diventando essa stessa parte di quel sistema che prometteva di combattere.