Uno degli aspetti più distintivi della presidenza di Donald Trump fu la sua politica economica, un mix di protezionismo, tagli fiscali e lotta contro quello che definiva il "commercio sleale". Per Trump, rilanciare l’economia americana significava prima di tutto correggere i presunti squilibri causati dagli accordi commerciali globali e riportare il lavoro manifatturiero negli Stati Uniti. Il suo motto "Make America Great Again" trovava in questa visione economica uno dei suoi pilastri fondamentali.
Fin dall’inizio del suo mandato, Trump non nascose il suo scetticismo verso i trattati multilaterali che, a suo dire, avevano danneggiato i lavoratori americani a beneficio di altre nazioni.
Tra le prime azioni, il ritiro degli Stati Uniti dal Trans-Pacific Partnership (TPP) fu un segnale chiaro: l’America non avrebbe più partecipato ad accordi che non garantissero un vantaggio immediato e tangibile. Questa scelta, accolta con entusiasmo dalla sua base elettorale, suscitò però preoccupazioni tra gli alleati, che vedevano nella decisione un passo indietro rispetto al ruolo di guida economica globale tradizionalmente esercitato dagli Stati Uniti.
La politica commerciale di Trump si concentrò principalmente su due obiettivi: la Cina e l’Unione Europea. Con Pechino, la sua amministrazione avviò una vera e propria guerra commerciale, imponendo dazi su centinaia di miliardi di dollari di beni importati. Le accuse rivolte alla Cina erano molteplici: furto di proprietà intellettuale, manipolazione della valuta e pratiche commerciali scorrette. Trump mirava a riequilibrare una bilancia commerciale che considerava fortemente sbilanciata a favore del gigante asiatico. La risposta cinese non si fece attendere, con l’imposizione di tariffe su prodotti americani, creando uno scontro che influenzò profondamente i mercati globali.
L’Europa, e in particolare l’Italia, osservava con attenzione questi sviluppi, consapevole che lo scontro tra le due maggiori economie mondiali avrebbe avuto effetti a cascata anche sul Vecchio Continente.
Ma non fu solo la Cina a finire nel mirino di Trump: anche l’Unione Europea subì critiche e pressioni. L’amministrazione americana impose dazi su prodotti europei come l’acciaio, l’alluminio e persino beni simbolici come il vino e il formaggio, colpendo direttamente settori chiave per l’economia italiana.
Il presidente definiva l’Unione Europea "quasi cattiva quanto la Cina" in termini commerciali, accusando Bruxelles di approfittarsi degli Stati Uniti attraverso barriere tariffarie e regolamenti che penalizzavano i prodotti americani. Per l’Italia, queste tensioni rappresentarono un doppio rischio: da un lato, la necessità di difendere le proprie esportazioni in un contesto di crescente protezionismo; dall’altro, il timore di vedere indebolita la partnership transatlantica, fondamentale per la sicurezza e l’economia nazionale.
Sul fronte interno, la politica economica di Trump fu caratterizzata da una massiccia riforma fiscale, approvata nel 2017. Con il Tax Cuts and Jobs Act, la sua amministrazione ridusse significativamente le tasse per le imprese, abbassando l’aliquota dal 35% al 21%, e introdusse benefici fiscali per le famiglie, sebbene questi ultimi fossero temporanei. L’obiettivo era chiaro: stimolare gli investimenti interni, riportare le aziende in America e generare una crescita economica sostenuta. I risultati furono immediati: il PIL americano crebbe a un ritmo sostenuto nei primi anni della sua presidenza, e il tasso di disoccupazione raggiunse i minimi storici. Tuttavia, i critici sottolinearono l’aumento del deficit federale e il rischio di ampliare ulteriormente le disuguaglianze economiche.
L’impatto di queste politiche sull’Italia e sull’Europa fu duplice.
Da un lato, il protezionismo di Trump rappresentava una sfida per i settori esportatori europei, ma dall’altro, il rilancio dell’economia americana offriva nuove opportunità per le imprese italiane attive sul mercato statunitense. L’America restava uno dei principali partner commerciali dell’Italia, e molti settori, dalla moda all’agroalimentare, beneficiarono della crescita economica americana.
Trump riuscì a plasmare la politica economica americana attorno a un’idea chiara: l’America al centro, non più vincolata da accordi che, a suo dire, penalizzavano i lavoratori e le imprese nazionali. Tuttavia, questo approccio ebbe un costo. L’immagine degli Stati Uniti come guida dell’economia globale fu messa in discussione, e gli alleati si trovarono a dover navigare un nuovo scenario, fatto di tensioni commerciali e incertezze geopolitiche.
Nel prossimo articolo, approfondiremo un altro capitolo cruciale della presidenza Trump: la sua politica estera, tra sfide alle organizzazioni internazionali, rapporti con i Paesi alleati e strategie di contenimento nei confronti di Iran e Corea del Nord. Restate con noi: l’era Trump continua a rivelare i suoi molteplici volti.