Hebron, città simbolo della Cisgiordania, è molto più di un semplice luogo di culto. Qui, dove si intrecciano Islam ed Ebraismo, la realtà quotidiana si divide tra la spiritualità millenaria e il controllo militare. È un crocevia di storie drammatiche, di diritti negati e di vite sospese. Nel cuore di Hebron, i checkpoint israeliani scandiscono il ritmo delle giornate degli abitanti arabi: uomini, donne e bambini che, per attraversare pochi metri, devono esibire documenti, subire controlli, sperare nel via libera dell’esercito.
Questo è un caso unico: una città divisa nel cuore della Cisgiordania, tra le aree A e B sotto l’Autorità Palestinese e un centro storico controllato da Israele. Qui, strade e quartieri sono segmentati. Alcune vie sono riservate agli ebrei, altre consentono agli arabi di camminare, ma non di guidare; altre ancora impediscono qualsiasi accesso agli arabi. La segregazione è evidente, tangibile. Ci sono famiglie che devono ottenere il permesso militare solo per uscire dalla porta di casa. E le case stesse, spesso, sono sorvegliate da militari armati. I diritti si applicano diversamente in base all’etnia. Gli ebrei israeliani, anche nei territori occupati, sono cittadini di serie A, giudicati da tribunali civili. I palestinesi, invece, sono soggetti alla giurisdizione militare, con pene spesso più severe e poche garanzie legali. Questa disparità di trattamento, nel cuore della Cisgiordania, non è chiamata apartheid dalle autorità israeliane, ma il mondo la osserva con occhi diversi. Questo è il cuore del conflitto, ma non è l’unico scenario di oppressione e contraddizioni. In Israele, gli arabi israeliani – che rappresentano il 20% della popolazione – godono di diritti civili e sociali incomparabili rispetto ad altri arabi della regione. Possono votare, candidarsi, e persino essere eletti in Parlamento.
Nonostante ciò, sono spesso vittime di discriminazioni sottili, di una marginalizzazione che non si riflette nella legge ma nella società.
Gaza, invece, è un altro capitolo di questa storia complessa. Qui, sotto il dominio di Hamas, il controllo israeliano si limita ai confini, ma i diritti civili e sociali dipendono esclusivamente dal regime islamista. Gaza è un luogo di miseria e oppressione, ma non è Israele il responsabile diretto delle condizioni di vita dei suoi abitanti.
Tornando a Hebron, la città incarna una contraddizione estrema. Mentre nel resto di Israele l’apartheid non esiste, qui sembra prendere forma. Le divisioni etniche e religiose si manifestano con una precisione chirurgica, quasi scientifica. È un microcosmo che riflette tutte le tensioni irrisolte di un conflitto che sembra non avere fine.
Israele si trova oggi a un bivio storico. Le recenti leggi, come quella che riserva agli ebrei il diritto esclusivo all'autodeterminazione, e i tentativi di riforma della magistratura stanno trasformando lentamente la sua identità democratica. Hebron, con la sua brutalità quotidiana, è il campanello d’allarme che nessuno può ignorare.