C'è un’immagine che potrebbe sembrare paradossale: cittadini latinoamericani che festeggiano l’elezione di Donald Trump a Miami, nella “Little Havana”, la zona cubana della città. Le celebrazioni ricordano quelle per la morte di Fidel Castro, ma questa volta sono per il trionfo di un uomo che non ha mai nascosto il suo disprezzo per l’immigrazione incontrollata, a volte neppure per gli stessi ispanici. Eppure, è proprio qui, nel sud della Florida, che Trump ha invertito un trend trentennale. Un’area che dal 1994 votava costantemente per i democratici, ha scelto i repubblicani. E non è stata l’unica.
In Pennsylvania, molti portoricani – sì, quelli che Trump definì abitanti di un’“isola spazzatura” – hanno dato in massa il loro voto al tycoon.
E in Wisconsin, il supporto degli ispanici ha registrato un balzo del 6%. Sono numeri che raccontano una realtà che la sinistra si ostina a ignorare: il voto degli immigrati e dei loro figli non è più scontato.
Una delle prime verità che emerge da questi dati è che molte comunità di immigrati tendono ad essere culturalmente conservatrici. Temi come la famiglia, la religione, e persino il ruolo dei generi sono centrali nelle loro vite, spesso più che in quelle degli americani bianchi. La sinistra, intrappolata nella sua "identity politics", si aspetta il voto delle minoranze non per ciò che propone, ma per ciò che queste sono: immigrati, persone di colore, emarginati. È un paternalismo che tradisce un’incapacità di comprendere le persone come individui con opinioni e priorità proprie.
Questa stessa dinamica si riflette in Europa, dove molte minoranze musulmane condividono visioni sociali molto più vicine a una destra religiosa che a una sinistra laica. Ma tanto in Europa quanto negli Stati Uniti, la sinistra ignora questo dato, aspettandosi comunque il loro supporto elettorale. L’idea che un immigrato possa essere di destra, o conservatore, viene spesso liquidata come un controsenso. Eppure, è proprio questo che sta accadendo.
Un altro punto fondamentale è la percezione dell’immigrazione stessa. Molti immigrati regolari, che si sono inseriti nel sistema e hanno costruito una vita stabile, vedono l’immigrazione illegale come una minaccia al loro stesso successo. Questo non li rende razzisti, ma realisti.
Un’immigrazione incontrollata può portare a tensioni sociali, competizione sul mercato del lavoro e un senso di precarietà che contraddice le ragioni stesse per cui queste persone hanno scelto di lasciare i loro paesi d’origine.
Trump ha saputo parlare a queste preoccupazioni. Ha semplificato, spesso in modo brutale e populista, ma ha centrato un punto cruciale: il bisogno di controllo e ordine. La sinistra, invece, ha evitato il tema, trattandolo come un tabù. E il risultato è stato chiaro.
Il voto ispanico a Trump non è un caso isolato, ma parte di un trend più ampio che la sinistra non riesce a invertire. Continuare a ignorare i temi centrali per l’elettorato – immigrazione ed economia – significa consegnare il dibattito alla destra. Persistere con l’idea che gli immigrati debbano votare per forza a sinistra è non solo ingenuo, ma anche controproducente.
Le elezioni del 2024 hanno dimostrato che Trump ha ottenuto il voto popolare per la prima volta dal 2004, grazie anche al supporto di comunità che la sinistra dava per scontate.
Se i democratici vogliono evitare ulteriori sconfitte, devono tornare a parlare di economia, di disuguaglianze, e di un’immigrazione regolata e sostenibile. Non basta più appellarsi ai diritti civili o sperare che le minoranze votino per tradizione.
La politica dell’identità ha fallito. Gli immigrati non sono un blocco monolitico, ma individui con paure, sogni e ambizioni. Riconoscere questa complessità non è solo strategia politica, ma rispetto. E finché la sinistra continuerà a ignorare questa realtà, Trump – o chi per lui – troverà sempre spazio per parlare alle paure di molti. Non importa quanto sia controverso o divisivo.