È di pochi giorni fa la notizia di una studentessa iraniana che ha avuto il coraggio di spogliarsi in pubblico per protestare contro la repressione e l’oppressione delle donne nel suo paese. Un gesto simbolico e devastante, una dichiarazione di libertà che le è costata l’arresto immediato e, secondo Amnesty, violenze inaudite.
Eppure, guardiamo intorno e ascoltiamo: il silenzio è assordante. Le voci femministe dell’Occidente, quelle che urlano per ogni diritto calpestato nei salotti comodi delle democrazie, quelle che fanno le rivoluzionarie tra un aperitivo e una manicure perfetta, dove sono?
Facile indignarsi dove c’è il diritto alla protesta, dove le parole si possono urlare senza timore di prigione o peggio. Facile scendere in piazza in jeans e maglietta, dove la polizia è lì a guardare e non a reprimere con manganelli e manette. Ma altrove? Altrove dove una donna può essere uccisa per un velo abbassato di un centimetro, dove un gesto come quello di questa ragazza è un biglietto di sola andata verso la tortura, il carcere o la morte? Dove siete, sorelle del femminismo quando non c’è Instagram su cui postare, quando non ci sono luci e copertine, quando la parola rischia di costare la vita? Giusto per citare una scrittrice e giornalista come la celebre Oriana Fallaci, probabilmente lo avrebbe detto senza peli sulla lingua, lo avrebbe gridato in faccia a chi oggi si copre dietro il comodo scudo dell’indifferenza selettiva. Lei, che in quelle terre ci andava e le guardava negli occhi, quelle donne invisibili, che scriveva con il fuoco dentro e non si piegava al conformismo patinato. Cosa direbbe oggi, di fronte a un Occidente che scappa dall’indignazione vera? Cosa direbbe a un femminismo che si fa sentire solo quando non c’è rischio, quando il rumore è comodo e protetto?
E allora, eccola la domanda che brucia: femministe, dove siete?
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