Sabato 26 ottobre, Cagliari sarà teatro di una nuova manifestazione pacifista, organizzata dalla CGIL in collaborazione con diverse reti pacifiste nazionali. Il motto della giornata è 'Fermiamo le guerre, il tempo della Pace è ora', un ritornello che ormai conosciamo bene. Mentre in altre città come Roma, Milano e Torino si parlerà di pace in generale, qui in Sardegna la protesta ha una sfumatura ben precisa: l'ennesima richiesta di ridurre le servitù militari che, secondo i manifestanti, gravano sull'Isola.
L’appuntamento è fissato per le 10 in piazza Vittime Moby Prince, e il copione è quello di sempre: la CGIL e i movimenti pacifisti puntano il dito contro l’uso del territorio sardo per le esercitazioni militari e la produzione di armi, come se il problema della guerra si risolvesse smantellando le basi. Nessuna parola, naturalmente, su cosa significherebbe per l'economia sarda una drastica riduzione della presenza militare, né su quali sarebbero le alternative concrete per i territori che oggi dipendono proprio da quelle servitù.
Mentre si invoca una riconversione dell’economia, la realtà è ben diversa: la Sardegna è già alle prese con una crisi economica e sociale che non si risolve con slogan. Il territorio, con i suoi 37.000 ettari destinati a uso militare, rappresenta una risorsa strategica per il Paese, ma ai manifestanti questo sembra importare poco. L’obiettivo è sempre lo stesso: ridurre le basi, bonificare i territori inquinati e destinare quegli spazi a usi civili. Peccato che di piani concreti per il "dopo" non ce ne siano.
La manifestazione di sabato sarà, dunque, l'ennesima occasione per riproporre vecchie battaglie ideologiche, con poche idee e ancora meno soluzioni. E mentre si marcia per la pace, si dimentica che il mondo reale non si cambia con una manifestazione in piazza.
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