Ogni anno, con l’avvicinarsi del Capodanno, si riaccende il solito rito dello sfarzo. I comuni sardi si sfidano a colpi di concerti stellari, in un risiko che mette in primo piano i grandi nomi della musica e, molto meno, le necessità reali del territorio. Olbia ha già annunciato i Pinguini Tattici Nucleari, bruciando tutti sul tempo. Alghero, intanto, si prepara a stupire ancora, dopo gli exploit di Max Pezzali e Ligabue.
Ma davvero è questo il capodanno che ci serve? O forse siamo di fronte all'ennesima manifestazione di opulenza inutile e, francamente, sopravvalutata?
C'è una realtà scomoda dietro questi eventi: le casse pubbliche devono sostenere spese enormi per una notte di festeggiamenti. Non si tratta solo di cachet stratosferici per artisti di grido come Tommaso Paradiso, Ghali o Mika, ma anche di tutte quelle spese collaterali che ricadono sui bilanci comunali: sicurezza, allestimenti, logistica.
E tutto per cosa? Per accontentare una massa di persone che, dopo un paio d'ore di musica, si disperderanno senza che nulla sia cambiato.
La verità è che queste serate di Capodanno, tanto celebrate dai media locali, si rivelano spesso un'occasione sprecata. Investire decine di migliaia di euro in un evento di poche ore è un lusso che i comuni sardi, già alle prese con bilanci asfittici e problemi strutturali, non possono permettersi. Eppure, la macchina del Capodanno continua a girare, come un’enorme giostra in cui il divertimento superficiale sembra prevalere sul buon senso.
È davvero questo che vogliamo? Spendere per farsi vedere, per dare l'impressione di una festa che forse, sotto sotto, non interessa nemmeno più a chi la celebra? La realtà è che dietro questa ostentazione si nasconde una mancanza di visione. I soldi che potrebbero essere investiti in servizi essenziali, infrastrutture o cultura diffusa vengono bruciati in una notte di fuochi d'artificio e musica, senza lasciare nulla di duraturo.
Forse è il momento di ripensare al significato di queste celebrazioni, di interrogarsi sul vero valore del Capodanno. Perché non investire in eventi che creino un impatto reale sul territorio, invece di alimentare questo circo dell’apparenza?
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