La situazione della sanità sarda è una storia di promesse non mantenute, scelte politiche sbagliate e una gestione che ha trasformato i problemi in vere e proprie emergenze. E mentre la sanità affonda, i consiglieri regionali trovano il tempo e l'unanimità per discutere di un aumento degli stipendi dei dipendenti comunali. Un’inversione di priorità che ha dell’assurdo, se si guarda al disastro sanitario che i sardi vivono quotidianamente.
Facciamo un passo indietro: prima del governo Solinas, la gestione sanitaria era stata affidata a Luigi Arru, assessore del centrosinistra, che aveva puntato tutto sull'ATS, un’azienda unica per la gestione della sanità regionale. L’idea di accorpare le strutture e centralizzare la gestione aveva un obiettivo chiaro: ridurre i costi e aumentare l'efficienza. Ma come spesso accade quando si concentrano le risorse, il risultato fu l’esatto opposto.
L’ATS si trasformò in un colosso burocratico, lontano dai territori e incapace di rispondere alle necessità locali. Gli ospedali nelle zone più isolate soffrivano la mancanza di personale e di attrezzature, mentre i cittadini dovevano percorrere chilometri per ricevere cure basilari.
L’era Solinas, dal 2019, ha tentato di smontare questa struttura. Con Mario Nieddu come assessore alla Sanità, la giunta promise di ripristinare le otto Asl precedenti, restituendo ai territori un’autonomia gestionale che si era persa. Ma la riforma di Nieddu, che si reggeva su ARES, un nuovo ente centralizzato per coordinare acquisti e amministrazione, non ha portato i frutti sperati. La burocrazia rimase inalterata, se non addirittura più pesante, mentre i concorsi per l’assunzione di personale medico e infermieristico si impantanavano in ritardi e pastoie legali. La pandemia di COVID-19, che ha messo in ginocchio la sanità mondiale, ha svelato in Sardegna le fragilità di un sistema già claudicante, dove la carenza di medici e infermieri era solo la punta dell'iceberg.
Con l’arrivo di Alessandra Todde alla guida della regione, e l’assegnazione della delega alla Sanità ad Armando Bartolazzi, si sperava in un cambio di passo. Ma la nuova giunta ha ereditato una situazione devastata, dove le parole da sole non bastano. Bartolazzi ha parlato di investimenti e di una riorganizzazione strutturale, ma mentre l’assessore prometteva un futuro migliore, il presente continuava a essere fatto di ospedali sovraffollati, pazienti in attesa e personale esausto.
Il Brotzu di Cagliari, simbolo delle eccellenze sanitarie sarde, è oggi un’immagine sbiadita di ciò che era un tempo. Turni massacranti per il personale, reparti in difficoltà e una cronica mancanza di specialisti. Le liste d’attesa per una visita o un intervento si sono allungate a dismisura, costringendo molti sardi a rivolgersi a strutture private o addirittura a rinunciare alle cure. E mentre le risposte tardano ad arrivare, le parole di Bartolazzi, che minimizzano le criticità e guardano a un domani più roseo, sembrano suonare come una presa in giro a chi lotta quotidianamente tra le corsie.
Nel frattempo, nei palazzi della politica regionale, si discute di altro.
Con una rapidità che raramente si vede quando si tratta di temi vitali come la sanità, i consiglieri regionali hanno trovato l’accordo su un ordine del giorno per aumentare gli stipendi dei dipendenti comunali, equiparandoli a quelli dei dipendenti regionali. Destra, sinistra e centro, tutti d’accordo su questa priorità. Un tema che ha trovato unanimità in aula, con dichiarazioni appassionate sulla necessità di “superare le disparità retributive”. Nessuno, però, ha pensato di chiedersi se, in un momento come questo, ci fossero urgenze più pressanti.
Mentre i cittadini sardi fanno i conti con una sanità che non riesce a garantire nemmeno l’essenziale, la politica sembra vivere in una realtà parallela. Il comparto unico per i dipendenti pubblici locali è una misura che, nei loro discorsi, appare come la panacea di tutti i mali. Ma nei corridoi degli ospedali, nei pronto soccorso affollati, tra chi attende mesi per una semplice ecografia, queste decisioni appaiono solo come l’ennesima dimostrazione di quanto la politica sarda sia distante dalle vere priorità dei cittadini.
La Sardegna meriterebbe una visione diversa, una politica che metta al primo posto i bisogni della gente e non i giochi di potere. Invece, si continua a navigare a vista, tra proclami e promesse, senza che nessuno riesca a dare una direzione chiara. E mentre i problemi reali restano lì, irrisolti, nei palazzi della Regione si pensa agli stipendi. Un triste spettacolo, che lascia i sardi sempre più soli di fronte a un futuro incerto.