La Sardegna sta morendo di sete. Le sue terre arse, i bacini che si svuotano, i contadini che alzano gli occhi al cielo sperando in una pioggia che non arriva. Siamo arrivati al 41% della capacità idrica negli invasi, un crollo lento ma inesorabile. A luglio era il 50,2%, ad agosto il 44%, e ora, a fine settembre, il quadro è sempre più desolante. Secco come la terra che si sbriciola sotto i piedi.
La diga di Maccheronis, a Posada, è il simbolo di questo disastro: solo il 7% d’acqua. Una miseria, un pugno di fango al posto di un bacino vitale.
E la Baronia, la Bassa Gallura, zone che durante l’estate hanno retto l’urto di migliaia di turisti, ora si ritrovano a fare i conti con una crisi idrica che non lascia scampo. Il turismo è andato, ma il problema resta.
Non va meglio nel Sulcis Iglesiente, dove i bacini sono al 20%. E nemmeno il sud Sardegna può dirsi salvo: il Flumendosa, il Campidano e il Cixerri arrancano con un misero 27%. È solo la Gallura a respirare un poco, con la diga del Liscia al 55%, mentre la Sardegna centrale vede il Tirso ancora in piedi, al 64%. Ma questi numeri sono un’illusione, un declino che appare inesorabile.
Eppure si tenta di combattere, si lotta con le unghie e con i denti.
Il Consorzio di bonifica della Sardegna centrale ha messo in piedi un piano di emergenza: una zattera, un’idrovora, una condotta provvisoria. Tutto per portare acqua al potabilizzatore del paese, cercando di salvare l’indispensabile. Ma è un palliativo. Una goccia in un mare di bisogno.
Questa non è una semplice crisi stagionale. È un segnale. Un campanello d’allarme che rimbomba tra le rocce e le colline di un’isola che rischia di non avere più risorse per sopravvivere. E mentre l'Autorità di Bacino della Regione Sardegna segna valori di "pericolo" e "allerta", si continua a sperare che qualcosa cambi. Ma la pioggia, quella vera, sembra un miraggio.
Sardegna, la tua sete è la nostra, e senza acqua non c'è futuro.
![]()