Scuola italiana: tra celebrazioni vuote e vecchi problemi

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  Ogni anno la scena si ripete: un evento in grande stile, carico di retorica e simboli, per inaugurare il nuovo anno scolastico. Quest'anno è toccato a Cagliari, dove il presidente Mattarella, accolto dalle launeddas e da ovazioni, ha celebrato l’apertura della scuola con medaglie olimpiche e sorrisi. Una sceneggiata ben costruita, con un pubblico di 1.300 studenti selezionati ad applaudire. Il ministro Valditara ha parlato di intelligenza artificiale e innovazione digitale, come se queste fossero le chiavi magiche per risolvere tutti i problemi che la scuola italiana continua a trascinarsi dietro da decenni. 

  Ma la realtà è ben diversa. Se si va oltre i sorrisi e i selfie con le campionesse, si scopre una scuola che, da decenni, sopravvive a malapena sotto il peso di tagli devastanti, insegnanti demotivati e strutture fatiscenti. Un declino iniziato ormai più di quarant'anni fa e che nessuna parata istituzionale può nascondere. Negli ultimi vent’anni, la scuola italiana ha subito tagli finanziari che ne hanno progressivamente minato la funzionalità. Basti pensare che tra il 2008 e il 2018 il settore ha perso oltre 8 miliardi di euro in finanziamenti, con una riduzione drastica delle risorse disponibili per l’edilizia scolastica, la digitalizzazione e il personale. In Sardegna, la situazione è ancora più drammatica: dispersione scolastica tra le più alte d’Italia, mancanza di insegnanti qualificati, scuole prive di manutenzione, e un tasso di disoccupazione giovanile che viaggia in parallelo con l’abbandono degli studi. Mentre Mattarella si intrattiene con i ragazzi di Cagliari, sarebbe opportuno ricordare che, se oggi la scuola italiana è in ginocchio, la colpa non è solo dei governi di turno. Chi, come il nostro attuale presidente, ha ricoperto ruoli istituzionali per decenni, ha visto questo declino da vicino senza fare nulla per fermarlo. La politica ha spesso utilizzato la scuola come terreno per tagliare fondi piuttosto che come un investimento nel futuro. 

  E oggi, in un mondo sempre più complesso, dove la tecnologia corre veloce e le competenze richieste aumentano, la scuola italiana si trova a inseguire, con scarso successo. Prendiamo un esempio semplice: l’edilizia scolastica. La Sardegna è piena di plessi scolastici che cadono a pezzi, con soffitti che crollano e laboratori che non vedono nuovi strumenti da anni. Le scuole sono digitalizzate solo sulla carta. Come può un sistema scolastico del genere formare i giovani ad affrontare un mondo in cui l’intelligenza artificiale e la tecnologia avanzata sono la norma? Non si può più continuare a parlare di "innovazione digitale" in cerimonie che di innovativo hanno ben poco. La scuola italiana non ha bisogno di nuovi slogan, ma di azioni concrete. C’è bisogno di investimenti seri, non dei soliti fondi occasionali che servono solo a rattoppare una situazione già disastrosa. Serve una riforma che parta dalle fondamenta: dalle aule, dagli insegnanti, dai programmi. Bisogna riportare la scuola al centro delle politiche pubbliche, renderla una priorità e non un palco per conferenze stampa. Celebrare i simboli va bene, ma è tempo che i simboli si trasformino in azioni reali.