La morte di Satnam Singh, bracciante indiano, è l’ennesima prova della crudeltà e dell’indifferenza che permeano il mondo del lavoro agricolo in Italia. Singh, sfruttato e malpagato, è stato vittima di un incidente sul lavoro che gli ha amputato un braccio. Il datore di lavoro, Antonello Lovato, invece di soccorrerlo, lo ha abbandonato sotto casa come un rifiuto, con il braccio amputato poggiato su una cassetta della frutta.
Singh è morto dopo giorni di sofferenze, mentre Lovato è ora indagato per omissione di soccorso e omicidio colposo.
Questa tragedia non è un caso isolato ma il riflesso di un sistema marcio, dove i braccianti, spesso immigrati, sono trattati come schiavi moderni. Nonostante gli annunci roboanti sulla fine del caporalato, la realtà dimostra che poco è cambiato. Le leggi esistono, ma la loro applicazione è una chimera. Le vite di questi lavoratori sembrano non contare nulla, sacrificate sull’altare del profitto.
«Una leggerezza che può costare cara a tutti», ha detto Lovato ai carabinieri.
Parole che gelano il sangue e mostrano un cinismo agghiacciante. Non basta denunciare, bisogna agire con fermezza: pene severe, controlli rigorosi e una vera tutela dei diritti dei lavoratori. Le dichiarazioni indignate di politici e sindacati non bastano più. È ora di passare dalle parole ai fatti, per porre fine a questa vergogna nazionale.
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