La Sardegna è sull'orlo del collasso sociale ed economico. Un terzo della popolazione è a rischio povertà ed esclusione sociale, e il 6,9% vive in condizioni di grave deprivazione materiale. In questo contesto, alcuni propongono il ripopolamento come soluzione, ma è davvero così semplice? L'afflusso di immigrati e l'avvento dell'intelligenza artificiale stanno ridefinendo il mondo del lavoro, rendendo obsoleti molti mestieri tradizionali.
L'idea di ripopolare l'isola sembra una panacea superficiale a un problema complesso. Le nuove tecnologie stanno sostituendo lavori manuali e amministrativi, e non è chiaro quali nuovi lavori emergeranno per compensare questa perdita. Il rischio è di creare una società in cui una parte significativa della popolazione resta esclusa dal mercato del lavoro, aggravando ulteriormente le disuguaglianze.
L'immigrazione potrebbe offrire manodopera, ma senza una strategia di integrazione e formazione, rischia di creare nuovi ghetti di emarginati.
Gli immigrati spesso finiscono per essere i nuovi schiavi moderni, impiegati in lavori sottopagati e privi di tutele. La Sardegna ha bisogno di politiche lungimiranti che non solo attraggano nuovi residenti, ma che garantiscano loro opportunità reali e dignitose.
Ripopolare l'isola senza un piano strutturato è come mettere una pezza su una ferita aperta. È necessario investire in formazione, infrastrutture e tecnologie sostenibili per creare un ambiente in cui tutti, residenti e nuovi arrivati, possano prosperare. Senza questi interventi, la Sardegna rischia di rimanere prigioniera delle sue contraddizioni, incapace di risollevarsi dalle sue macerie sociali ed economiche.
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