Viviamo in un'epoca in cui la partecipazione elettorale è diventata un rito di passaggio, un atto che molti compiono quasi automaticamente, senza una reale comprensione delle implicazioni e delle responsabilità che ne derivano. Questo fenomeno si manifesta in diverse forme di comportamento che meritano una riflessione critica.
Chi si lamenta di chi non è andato a votare. Questo gruppo spesso si erge a paladino della democrazia, accusando coloro che non partecipano al voto di essere la causa di tutti i mali politici. Eppure, la loro stessa lamentela tradisce un'incapacità di comprendere che la non partecipazione è essa stessa una forma di espressione, un segnale di sfiducia o disillusione verso il sistema. Anziché criticare, forse sarebbe più costruttivo interrogarsi sulle ragioni profonde di tale astensione.
Chi va a votare ma si lamenta comunque. Questi elettori esprimono una frustrazione cronica, indipendentemente dall'esito delle elezioni. Votare diventa per loro un atto meccanico, privo di reale significato. Essi incarnano il paradosso della democrazia moderna: partecipare attivamente ma senza fiducia o speranza di cambiamento. La loro lamentela post-elettorale è spesso un riflesso di una più ampia sfiducia nel sistema, piuttosto che un giudizio informato sugli eletti.
Chi va a votare però poi si lamenta perché non ha vinto la sua parte. Questo atteggiamento rivela un'immaturità politica. Il voto, in una democrazia, implica accettare il principio della maggioranza e rispettare le scelte collettive. Lamentarsi perché il proprio candidato non ha vinto è un segno di mancanza di comprensione del funzionamento democratico. La politica non è un gioco a somma zero, dove vince solo chi prende tutto, ma un processo complesso di rappresentanza e mediazione.
Chi vota la sua parte che vince ma non fa quello che vuole lui perché non sa nemmeno quali siano le competenze specifiche degli eletti. Qui emerge un problema di educazione civica. Molti elettori non hanno una chiara comprensione delle competenze e dei limiti del ruolo degli eletti. Votano spinti da promesse superficiali o da una fedeltà partigiana, senza informarsi adeguatamente su cosa realisticamente possano fare i loro rappresentanti. Questo genera inevitabilmente frustrazione e delusione.
Chi scrive per sfogare la propria frustrazione sui social. I social media sono diventati il palco principale per le lamentele post-elettorali. La facilità con cui si può esprimere un'opinione ha amplificato voci spesso sprovviste di una reale comprensione della complessità politica. Questo sfogo continuo non contribuisce al dibattito costruttivo ma alimenta una spirale di negatività e disillusione.
Chi è andato a votare amici, parenti, gente che ha promesso cose. Il voto clientelare è una piaga della democrazia. Scegliere un candidato non per le sue capacità o il suo programma, ma per favori personali, corrompe il processo elettorale e perpetua un sistema di scambi clientelari che danneggia il bene comune.
Queste dinamiche rivelano le radici rancide della democrazia a suffragio universale, dove l'atto di votare è spesso svuotato del suo significato più profondo. Il fatto che si vada a votare non implica automaticamente la capacità di lamentarsi del risultato; implica piuttosto avere la responsabilità di informarsi e comprendere il funzionamento del sistema politico.
Infine, il ciclo di lamentele post-elettorali, con il ritornello "lasciamoli lavorare, si sono appena insediati" seguito da "eh ma i marciapiedi, le strade, questo e quello", è un'illusione di partecipazione.
Fino alla prossima elezione, ci si illude di avere voce in capitolo, mentre si perpetuano i soliti giochini e campagne elettorali.
È necessario un profondo ripensamento del nostro approccio alla partecipazione politica o la scelta coraggiosa di cambiarlo. Solo attraverso una maggiore educazione civica, una consapevolezza critica e un impegno informato possiamo sperare di migliorare la qualità della nostra democrazia e spezzare il ciclo sterile delle lamentele.