In un paese dove le contraddizioni sono la norma, la Sardegna ha deciso di superarsi, gettando i giornalisti nel calderone burocratico della Pubblica Amministrazione. L'ultima trovata, partorita dalle menti eccelse della Regione, prevede che i nuovi 12 colleghi dell'ufficio stampa vengano pagati non come giornalisti, ma come impiegati. Avete capito bene: giornalisti con il contratto della PA. Un'idea discutibile, che rischia di provocare un'ondata di proteste tanto giusta quanto inevitabile.
Il contratto nazionale dei giornalisti esiste per un motivo, e questo motivo è la natura stessa del nostro lavoro. Siamo giornalisti, non burocrati.
Ogni articolo, ogni inchiesta, ogni parola scritta è il frutto di una professione che richiede competenze specifiche, sacrifici e un'etica ben precisa. Ridurre tutto questo alla stregua di un impiegato pubblico non è solo un insulto alla categoria, ma un pericoloso precedente che mina la dignità del mestiere.
Torna alla memoria storica la battaglia legale condotta a Roma dall'avvocato, Enzo Lacovino. Per trent'anni, un giornalista della Rai è stato pagato come programmista, nonostante svolgesse a tutti gli effetti il lavoro di inviato speciale. Lacovino ha ottenuto giustizia per lui, facendo condannare la Rai a riconoscere gli emolumenti dovuti. Una vittoria storica, che dovrebbe fare scuola e che, temo, potrebbe diventare necessaria anche per i futuri 12 colleghi sardi.
Il provvedimento, firmato dalla Direttrice Generale degli Affari Generali, Giovanna Medde, e dalla presidente Alessandra Todde, sembra ignorare le conseguenze di una scelta del genere.
Non si può pretendere di avere un'informazione di qualità se si umiliano i professionisti che la producono. La Regione Sardegna, con questo atto, non sta solo commettendo un errore legale, ma sta minando la credibilità e la motivazione di chi dovrebbe informare i cittadini.
Immagino già i paladini della burocrazia alzare le spalle e dire che si tratta solo di un contratto. Ma non è così semplice. Questo è un attacco diretto alla nostra professione, una mossa che banalizza il giornalismo e lo riduce a un mero compito amministrativo. Una scelta che, a lungo andare, potrebbe compromettere l'integrità e l'indipendenza dell'informazione stessa. La professione giornalistica merita rispetto e riconoscimento, non può essere confinata nei limiti angusti di un contratto pensato per tutt'altro lavoro. E alla Regione Sardegna, un consiglio non richiesto: ripensate a questo provvedimento prima che sia troppo tardi, perché l'informazione è il pilastro della democrazia, e come tale va trattata con la dignità che merita.