La domanda se la stanno ponendo in molti. Ma le risposte da parte
degli scienziati, come spesso avviene di questi tempi, non sono
omogenee tra loro.
I temi in discussione sono sostanzialmente tre.
Il primo riguarda l’eventuale presenza del virus nell’aria inquinata.
A sostenere tale tesi sono diversi ricercatori, tra cui quelli della
Società italiana di medicina ambientale. Una loro recente ricerca
(https://www.simaonlus.it/?page_id=694) dimostra che frammenti di Rna
del Sars-Cov-2 sono nel particolato atmosferico, cioè nel Pm, e questo
fungerebbe da veicolo (carrier) e amplificatore (boost).
Chi avversa
la teoria, pur riconoscendo la presenza del virus nel particolato
atmosferico insieme a particelle biologiche (batteri, spore, pollini,
funghi, alghe, ecc.), ritiene tuttavia poco probabile che possa
mantenere intatte le proprietà infettive dopo una permanenza più o
meno prolungata nell’ambiente aperto.
La discussione è tuttora in
corso.
Un secondo tema presenta, invece, più consapevolezza comune e visione
omogenea tra gli esperti: dal momento che l’inquinamento generato da
un’alta concentrazione di particolato influisce sul sistema
respiratorio o su quello cardiocircolatorio - su questo non ci sono
dubbi - finisce per renderli più suscettibili alle complicanze della
malattia. Insomma, sulla necessità di ridurre l’inquinamento c’è
concordanza.
Meno, purtroppo, da parte degli amministratori pubblici
nell’attuare le politiche più idonee.
Un terzo tema, subordinato agli altri due, investe la relazione tra
aree inquinate e alta percentuale di casi di coronavirus in quel
territorio. Qui gli scienziati tornano ad essere divisi tra loro,
anche perché non è facile stabilire con certezza una relazione.
L’Ufficio comunicazione dell’Unsic, sindacato datoriale con 2.100 Caf
e 550 sedi di patronato in tutta Italia, dall’inizio della pandemia è
impegnato – in modo neutrale – nella raccolta e nella divulgazione di
dati, senza complessità metodologiche, finalizzati unicamente a porre
in evidenza alcune tematiche e ad alimentare proficui dibattiti.
Anche
su questo argomento, individuando e consultando numerose fonti, ha
prodotto due mappe indicative, una con i dati oggettivi della
Protezione civile sull’incidenza dei casi di coronavirus (rielaborati
in base al numero dei residenti per provincia), l’altra con il “peso”
dell’inquinamento sempre per provincia, frutto dell’assemblaggio e
della rielaborazione dei dati sulla presenza dei vari tipi di
particolato.
“Talvolta i tentativi di ascrivere al solo mondo scientifico alcuni
argomenti che investono la vita quotidiana di tutti noi, finiscono per
produrre ermetici tecnicismi e una babele di posizioni contrapposte –
evidenzia Domenico Mamone, presidente dell’Unsic. “Proprio per
favorire un processo di semplificazione e di chiarezza e per
assicurare il giusto risalto a tematiche centrali, come quella
dell’inquinamento, il nostro Ufficio comunicazione, in una logica
‘open source’, è impegnato a produrre materiali per la libera e utile
condivisione.
E’ chiaro però – conclude Mamone – che il rapporto con
l’inquinamento, se confermato, potrebbe costituire solo una tessera di
un grande mosaico: sappiamo, infatti, che sono molteplici i fattori
che favoriscono la pandemia, dalla mobilità alla prossimità tra
persone.
Per quanto riguarda l’inquinamento, poi, oltre alla qualità
dell’aria, vanno considerate le caratteristiche delle comunità
residenti, ad esempio l’età media e le condizioni socio-economiche,
nonché lo stato di salute preesistente e la comorbidità”.
Soffermandosi su questo tema, l’Unsic ha dunque realizzato due mappe:
una con “il peso del coronavirus” e l’altra con “il peso
dell’inquinamento” nelle differenti province italiane.
Dodici livelli
di colorazione, corrispondenti a rispettive classi di gravità, mettono
a confronto i due blocchi di dati.
Da una parte, in linea con i sostenitori dell’ipotesi di stretto
collegamento tra inquinamento e pandemia, emergono sovrapposizioni
abbastanza nette in Pianura Padana, ma pure nell’area settentrionale
di Marche, Toscana e Sardegna.
Inoltre nel Mezzogiorno, dove il virus
ha colpito poco, si confermano i bassi indici complessivi di
contaminazione ambientale.
Al contrario, alcune aree inquinate nel Centrosud (ad esempio nel
Lazio, in Campania e in Puglia) non registrano percentuali rilevanti
di contagi da Covid-19, smentendo quindi la relazione.
Emblematico il
caso di Taranto o delle tante Terre dei fuochi.
In Sardegna, nel dettaglio, i dati dell'inquinamento e quelli del
Covid-19 possono prestarsi ad essere sovrapposti in quanto entrambi i
fenomeni sono più marcati nella sola provincia di Sassari.
Le
percentuali di contagiati da Covid-19 rispetto al numero dei residenti
presentano scarse differenze tra le province, ad esclusione di Sassari
(si va da meno di 3 ogni 10mila residenti nel Sud Sardegna, fino ai 18
di Sassari, con Cagliari a quota 6, Oristano e Nuoro 4); sul fronte
dell'inquinamento la percentuale più elevata la troviamo sempre in
provincia di Sassari.