Sanità sarda, la Consulta boccia il commissariamento: illegittime le norme della Regione

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La Corte costituzionale ha messo un punto fermo. Con la sentenza n. 198, depositata il 23 dicembre 2025, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di due disposizioni chiave della legge regionale sarda n. 8 del 2025, quelle che regolavano il commissariamento straordinario delle aziende del Servizio sanitario regionale e la sorte degli incarichi dirigenziali.

Il cuore della decisione sta tutto nel metodo. O, meglio, nel metodo che non può essere usato. Secondo la Corte, la norma che consentiva al nuovo direttore generale, entro 60 giorni dall’insediamento, di “confermare o sostituire” i direttori amministrativi, sanitari e dei servizi socio-sanitari viola l’articolo 97 della Costituzione. Perché incrina due pilastri dell’azione amministrativa: l’imparzialità e il buon andamento.

La Consulta parla chiaro: quella previsione introduce un elemento di parzialità nel rapporto tra vertice e dirigenza, attribuendo al direttore generale un potere sostanzialmente discrezionale di far cessare incarichi in corso prima della loro naturale scadenza, senza uno scrutinio procedimentalizzato e senza una valutazione fondata su criteri oggettivi. In altre parole: il solo fatto di essere appena insediati non basta per azzerare ruoli e funzioni.

Ancora più netta è la censura sulla seconda disposizione impugnata. Il commissariamento straordinario di tutte le aziende socio-sanitarie, ospedaliere e ospedaliero-universitarie della Sardegna, con l’automatica risoluzione del rapporto con i direttori generali in carica, è stato giudicato in contrasto con l’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, in materia di tutela della salute. Qui il richiamo è tecnico, ma il significato è politico: una Regione non può spingersi oltre i principi fondamentali fissati dalla legislazione statale.

La Corte ricorda che il decreto legislativo n. 171 del 2016 non contempla il commissariamento straordinario come causa automatica di decadenza del direttore generale. Forzare quella cornice significa rompere l’equilibrio tra competenze regionali e principi nazionali. E questo, in uno Stato di diritto, non è consentito.

Il verdetto della Consulta non entra nel merito delle scelte sanitarie, né giudica l’opportunità politica delle riforme. Fa qualcosa di più semplice e più severo: richiama al rispetto delle regole. Dice, in sostanza, che anche quando si invoca l’emergenza, anche quando si parla di sanità e di urgenza, il diritto amministrativo non può diventare un terreno discrezionale, né la dirigenza pubblica una variabile dipendente dall’avvicendamento politico.

È una sentenza che parla alla Sardegna ma implicitamente parla a tutte le Regioni che, ciclicamente, sono tentate dalla scorciatoia del commissariamento come strumento di “reset”. La Consulta ricorda che governare non significa azzerare, e riformare non autorizza a sospendere le garanzie.

Il resto, ora, è politica. Ma su una base giuridica che, da oggi, è molto più stretta.