Non è solo questione di caldo. È questione di dignità, di diritti e di responsabilità. In Sardegna, dove il sole non perdona e l’estate arriva come un maglio rovente, la Regione ha anticipato i tempi e, tra le prime in Italia, ha firmato un’ordinanza che sospende le attività lavorative nelle ore più calde.
Il provvedimento, richiesto e condiviso dai sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil, è arrivato il 26 giugno 2025, quando le segreterie regionali hanno chiesto all’assessore alla Sanità di fermare i lavori esposti al rischio di stress termico e colpi di calore. Un segnale netto, soprattutto per i settori agricolo, florovivaistico ed edile, dove la fatica si misura non solo in ore, ma in fiato e sudore.
La presidente Alessandra Todde ha risposto con l’Ordinanza n. 1, vietando il lavoro in condizioni di esposizione prolungata al sole in questi settori. Una scelta in linea con la normativa vigente e, soprattutto, con la logica del buonsenso.
Ma non tutto fila liscio. Restano escluse le pubbliche amministrazioni, i concessionari di pubblico servizio e i loro appaltatori, laddove si tratti di interventi di pubblica utilità o di protezione civile. In questi casi, la legge prevede che il datore di lavoro adotti misure idonee per ridurre il rischio, come stabilito dal decreto legislativo n. 81/2008.
Il punto dolente, oggi, è l’estensione dell’ordinanza ad altri settori dove le condizioni climatiche possono diventare un rischio serio. La Regione fa sapere che sono in corso verifiche normative e di fattibilità. Ma intanto, sotto il sole che batte come un tamburo, molti lavoratori continuano a chiedersi se la tutela promessa valga davvero per tutti o se resti confinata alle categorie più visibili.
Il dibattito, rilanciato anche dall’articolo pubblicato dalla Nuova Sardegna, resta aperto. E come spesso accade, tra la firma di un’ordinanza e la realtà del cantiere o del campo, scorre una distanza che il sole d’estate rende ancora più bruciante.