Quando la misura è colma, perfino il silenzio pesa. Alla Casa di Reclusione di Alghero la situazione è ormai al limite: troppi detenuti, troppo poco personale e un’amministrazione che, denunciano i sindacati, continua a rimandare soluzioni che non possono più attendere.
Le sigle OSAPP, CON.SI.PE. e CNPP/SPP, con una nota congiunta inviata al Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, descrivono un quadro che rasenta il paradosso: 170 detenuti a fronte di 156 posti disponibili, e solo 36 agenti effettivamente operativi a garantire la sicurezza, la disciplina e la dignità di un istituto che dovrebbe essere modello di rieducazione, non di resistenza.
Sulla carta gli uomini della Polizia Penitenziaria dovrebbero essere 79. In realtà, dieci sono assenti ogni giorno per motivi giustificati, diciassette coprono cariche fisse e sei appartengono al Nucleo Traduzioni e Piantonamenti. Restano 36 agenti, meno della metà di quanto servirebbe. Chi resta in servizio copre turni infiniti, spesso senza pause, in un contesto che non è solo fisicamente logorante ma anche moralmente stancante.
A complicare ulteriormente il quadro, l’arrivo di detenuti provenienti dal carcere di Regina Coeli, trasferiti ad Alghero dopo il crollo del tetto dell’istituto romano. Si tratta, spiegano i sindacati, di soggetti appartenenti a un circuito penitenziario non compatibile con la vocazione trattamentale della struttura algherese. In altre parole: detenuti abituati a un regime più rigido, ora ospitati in un contesto pensato per la rieducazione. Il risultato? Tensione, disagi e rischio per la sicurezza.
Per i sindacati non è più tempo di appelli ma di azioni concrete. Chiedono un interpello straordinario per l’assegnazione temporanea di nuovo personale, almeno per ripristinare condizioni minime di operatività. E intanto, dal 20 ottobre, il personale ha scelto la via della protesta pacifica: astensione dalla Mensa Ordinaria di Servizio (M.O.S.), un gesto simbolico ma eloquente.
Il messaggio è chiaro: non si può pretendere di garantire sicurezza e rieducazione con organici da trincea. “Confidiamo nella sensibilità dell’Amministrazione penitenziaria e del Provveditore Regionale” — scrivono i segretari Usai (OSAPP), Ghisaura (CON.SI.PE.) e Cucca (CNPP/SPP) — nella speranza che la burocrazia non arrivi, come troppo spesso accade, a indagine chiusa e carcere aperto.
Una prigione, dicono, dovrebbe essere un luogo di disciplina e speranza. Quando manca il personale, non resta che la rassegnazione — e non è certo quella che la Costituzione aveva in mente.