Aritzo, la fiaccolata della rabbia: “In Barbagia non possiamo vivere, ammalarci e neanche morire”

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In Barbagia, ormai, anche morire è un problema. Serve un medico che certifichi il decesso, ma spesso non c’è. Ieri sera ad Aritzo, davanti al poliambulatorio di corso Umberto, centinaia di persone hanno acceso una candela. Una fiaccolata semplice, silenziosa, ma pesante come una denuncia. A organizzarla è stato il gruppo Allerta in Barbagia, per chiedere sanità vera in un territorio dove, dicono, ammalarsi è un rischio e guarire una corsa a ostacoli.

La protesta è chiara: mancano le guardie mediche, le ambulanze del 118 spesso viaggiano senza medico a bordo, e l’elisoccorso non vola di notte. In pratica, se ti senti male dopo il tramonto, puoi solo sperare che non sia grave.

A parlare è Pina Cui, attivista del gruppo Allerta in Barbagia. «Ci stanno prendendo in giro – dice senza giri di parole –. L’altra notte la Guardia Medica non c’era, e sul 118 c’erano solo infermieri, che fanno non il possibile ma l’impossibile. L’ospedale di Sorgono non è che non funziona: è quello che manca, e sia chiaro». Poi si ferma un attimo, come per prendere fiato. «Abbiamo scritto PEC su PEC, chiesto incontri alla Presidente, niente. Bartolazzi non risponde più. E intanto i malati fanno centinaia di chilometri per una radioterapia. Hanno rimandato l’apertura delle strade di un anno. E la trasversale sarda? La tireranno fuori alla prossima campagna elettorale, come sempre».

Il tono è amaro, ma lucido. Cui non fa politica: la smonta. «Paghiamo le tasse come tutti – dice – ma non abbiamo servizi. Questa è una presa in giro. Se non sanno dare risposte, almeno abbiano la decenza di andarsene. Quei soldi li diamo ai medici, non a chi fa finta di amministrare».

Il racconto scivola su un episodio che gela il sangue. «Un nostro compaesano, gravemente malato, voleva solo tornare in Sardegna a morire. La burocrazia è stata più lenta della vita. È morto in Germania, l’hanno cremato e riportato qua. Ma di che stiamo parlando?».

La fiaccolata di Aritzo non è un rito da provincia lamentosa. È la prova di un’Italia che viaggia a due velocità: da una parte le metropoli dove si inaugura tutto, dall’altra le montagne dove si spegne tutto. «Qui – aggiunge Cui – anche un intervento urgente deve essere fatto entro venti minuti. Ma dove lo portiamo il paziente? A Sorgono fanno miracoli, a Nuoro è tutto smembrato. E noi? Dove dobbiamo andare?».

Non c’è rabbia cieca, ma esasperazione lucida. «Abbiamo avuto politici di ogni tipo, alti, bassi, colorati. Nessuno che pensi a noi. Tutti presi dai loro dividendi. Vengono solo per le feste, per tagliare nastri o fare spuntini».

Poi una richiesta precisa, che arriva come un ultimatum: «Siamo in attesa di vedere il decreto firmato dalla Presidente per la quarta base di elisoccorso a Sorgono. Tutto il resto sono slogan».

In fondo, la Barbagia non chiede miracoli. Chiede strade percorribili, medici reperibili, risposte credibili. Chiede di vivere dove è nata, senza dover emigrare per curarsi. Chiede uno Stato che funzioni anche dove il segnale del telefono non arriva.

C’è chi la chiama “zona interna”, come fosse una malattia cronica. Ma qui dentro ci sono paesi che resistono, con orgoglio antico. Ieri sera le fiaccole hanno acceso quel senso di comunità che nessuna delibera potrà mai sostituire.

Il resto è politica. Quella che arriva solo per chiedere voti, promettere ospedali e inaugurare rotonde. Poi sparisce, come il segnale d’emergenza di un elisoccorso che non vola di notte.

 

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