Ci sono storie che si preferirebbe non dover raccontare, non perché manchi il coraggio di scriverle, ma perché il loro peso grava come un macigno sulla coscienza di chi legge e di chi riporta. A Bosa si è consumato un dramma che spezza il cuore e scava una ferita profonda nella comunità.
Un uomo di 41 anni è stato arrestato dai Carabinieri con l’accusa di violenza sessuale aggravata. La vittima è una bambina di appena 12 anni, figlia della sua ex moglie. L’orrore, come spesso accade, si è consumato nel luogo che dovrebbe essere il più sicuro: la casa.
Secondo le indagini coordinate dalla Procura di Oristano, tra l’aprile 2024 e il luglio 2025 l’uomo avrebbe abusato più volte della minore, approfittando dei momenti in cui la madre, ignara, gli affidava la figlia. È una storia che si ripete, come un copione maledetto: la fiducia tradita, la vulnerabilità violata, il silenzio che diventa complice finché qualcuno non trova il coraggio di spezzarlo.
Quel coraggio, in questo caso, è stato della bambina e della madre. La dodicenne ha trovato la forza di confidarsi, la madre non ha esitato a rivolgersi ai Servizi sociali. Da lì è partita l’inchiesta, che ha portato alla misura cautelare in carcere emessa dal Tribunale di Oristano.
Il procedimento penale è ancora nella fase delle indagini preliminari: sarà il processo a stabilire la responsabilità dell’indagato. Ma intanto resta il segno di un male che non arriva da lontano, non da un estraneo, ma da chi si muove dentro le mura domestiche, travestito da volto familiare.
La giustizia farà il suo corso, ma la ferita resta. A noi, come comunità, resta il dovere di non voltare lo sguardo, di proteggere chi non ha voce, di non relegare tutto a un trafiletto di cronaca. Perché è da qui, dalla coscienza collettiva, che inizia il vero processo.