Un boccone di pane avvelenato. Questo è bastato per ammazzare Liò, segugio di otto anni, morto tra atroci sofferenze a fine agosto in località La Ficaccia, a Santa Teresa Gallura. Non un incidente, non una fatalità: qui si sospetta un avvelenamento doloso.
La sua padrona, Bruna Naitana, non ha dubbi. “Non è la prima volta che tentano di avvelenarmelo e un’idea di chi possa essere ce l’ho – racconta – Questa volta però sono riusciti a uccidermelo. Liò è morto vomitando tanto sangue. Lo abbiamo portato dal veterinario: all’inizio sembrava essersi ripreso, ma purtroppo è morto il mattino dopo”.
Bruna ha già ricevuto il referto autoptico, che lascia pochi dubbi. Ma ora è in attesa dei risultati istologici e tossicologici. Intanto le indagini dei carabinieri e della polizia locale sono in corso, e i particolari restano coperti da riserbo.
La scena è stata un incubo: “Aveva convulsioni, non stava in piedi, le mucose dello stomaco completamente bruciate – spiega la donna –. Liò era un cane buonissimo e ben voluto nella borgata, tranne da chi lo ha ucciso in questo modo. La sua morte non deve restare impunita ed è vergognoso che nel 2025 possano accadere cose del genere. Prendersela con un animale è una vigliaccheria”.
Non sono parole dette a caso. Dietro c’è la rabbia di chi ha visto morire un compagno fedele nel modo più crudele. “Ringrazio tantissimo carabinieri e polizia locale per essersi interessati – aggiunge Bruna – e sono fiduciosa che chi sta gioendo per aver ucciso il mio cane non riderà più”.
Dal 1° luglio la legge ha inasprito le pene: fino a quattro anni di carcere e 60 mila euro di multa per chi uccide un animale. È scritto nero su bianco, ma servirà a qualcosa solo se sarà applicato senza sconti. Perché qui non parliamo di un cane morto, ma di un atto di barbarie. E un Paese civile si riconosce da come tratta gli indifesi. Liò non tornerà più. Resta la rabbia, resta la vergogna. E resta una domanda che brucia: com’è possibile che nel 2025 si debba ancora raccontare una storia simile?
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