Non c’è niente di più triste che vedere una patria inginocchiata. Non davanti al nemico, ché in fondo si combatte e si perde. Ma davanti al denaro. Peggio ancora: al denaro maleducato. Talmone, Palau, Sardegna. Un angolo di paradiso, come se ne trovano pochi anche in Italia, che pure ne è piena. Ma ogni paradiso, si sa, ha il suo serpente.
Questa volta il serpente è sceso da un megayacht battente bandiera straniera, presumibilmente americana. Uno di quelli che attraccano dove vogliono, calano i tender come fossero scialuppe di sbarco e invadono la spiaggia come una fanteria in bermuda e occhiali da sole. Gazebo, tavoli, barbecue, casse acustiche, campo da beach volley montato lì, sul momento, a pochi passi da una prateria di posidonia, patrimonio naturale che sopravvive per miracolo tra il cemento e l’ignoranza.
È successo una domenica mattina, in piena stagione anticipata. E c’è voluto l’intervento della Guardia Costiera per riportare un barlume di legalità in una scena che sa di sberleffo più che di reato: la natura trasformata in salotto privato, la spiaggia pubblica in giardino dell’élite.
Il miliardario è stato invitato ad andarsene. Ha smontato tutto e se n’è andato. Non ha lasciato spazzatura, dicono. Ma l’immondizia vera è quella che resta negli occhi: l’arroganza di chi pensa che con i soldi si possa comprare tutto, anche un tratto di costa. Anche il silenzio.
Non è la prima volta. L’anno scorso fu un catamarano francese a gettare l’ancora sulla posidonia, scaricando turisti come fossero sacchi di cemento. Anche lì il Comitato “Amici di Talmone” denunciò. Anche lì le istituzioni promisero. E oggi apprendiamo che il cavo tarozzato – quello che dovrebbe impedire l’ingresso delle barche nell’area di balneazione – verrà finalmente posato. Dove? Non nel punto del misfatto, ma trenta metri più in là, "dove c’era già gli scorsi anni".
E allora ci chiediamo: a cosa serve lo Stato se non riesce a tutelare il bene comune da chi lo tratta come una pista d’atterraggio per il proprio ego? A cosa servono le aree protette se si proteggono solo a parole? E soprattutto, cosa ci resta della sovranità se basta un tender e una bottiglia di champagne per calpestarla?
Luciano Trincia ha parlato chiaro intervistato a Radio Capital: “Presenza, controlli, risposte strutturali”. Ha perfettamente ragione. Perché i paradisi naturali non si difendono con i comunicati stampa ma con le regole. E le regole, se non sono fatte rispettare, non valgono più del gazebo di plastica montato da un cafone miliardario.
Nel dopoguerra, quando l’Italia cominciò a rialzare la testa, si usava dire che il Paese era una "nave senza nocchiere in gran tempesta". Oggi sembra più una spiaggia senza bagnino in tempo di megayacht.
Ed è proprio quando lo Stato arretra, che i cafoni avanzano.