Cagliari: studenti in protesta, ma quanto ancora dobbiamo aspettare per la sicurezza?

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  Beatrice Loi non c’è più. Una ragazza di 17 anni, investita davanti alla sua scuola mentre attraversava la strada. Una tragedia così violenta, così evitabile, che sembra volerci dire qualcosa di più profondo. Qualcosa che riguarda non solo Cagliari, non solo viale Colombo, ma un intero sistema che guarda, registra e poi dimentica. Perché, diciamocelo chiaramente: di Beatrice ci si ricorderà fino al prossimo incidente. 

  E poi? Si alzerà l’ennesimo coro di proteste, si invocheranno “interventi immediati”, ma il silenzio istituzionale tornerà a coprire tutto, come sempre. Venerdì, gli studenti del liceo Alberti si sono organizzati. Una catena umana sulle strisce pedonali, marce, megafoni, fischietti. Gesti semplici, forse anche ingenui, ma pieni di una forza che solo i giovani sanno trasmettere. “Quanto vale la sicurezza di uno studente?” chiedono, e la risposta è lì, sotto gli occhi di tutti: meno di un dosso, meno di un semaforo. È una vergogna, lo sanno loro e lo sappiamo anche noi. La loro denuncia non è solo un atto di dolore, è una condanna precisa. Parlano di macchine a tutta velocità che ignorano le strisce pedonali, di richieste ignorate per anni. Dossi, semafori, persino un nonno vigile: richieste semplici, banali, ma rimaste inascoltate. Loro dicono basta. E lo fanno con una lucidità che fa male: “Non vogliamo comparire sui prossimi titoli di cronaca nera”. 

  È questo il punto. Non si tratta solo di Beatrice, ma di chi potrebbe essere il prossimo. Perché, diciamolo chiaramente, non è questione di se, ma di quando. Questa protesta, così sincera, così umana, colpisce per un motivo più profondo. Perché non riguarda solo gli studenti del liceo Alberti, ma racconta qualcosa dell’intera Sardegna. Un’isola che sembra ignorare se stessa, che si trascina nel suo eterno presente, incapace di prendersi cura delle sue stesse fondamenta. Strade insicure, scuole dimenticate, infrastrutture che cadono a pezzi. Beatrice Loi è morta davanti alla sua scuola, ma quante altre tragedie accadono ogni giorno, più silenziose, meno visibili? Le misure necessarie sono semplici. Non servono grandi piani, né promesse irrealizzabili. Bastano dossi rallentatori, semafori funzionanti, una vigilanza minima. Ma il problema è che nessuno vuole prendersi questa responsabilità. Si aspetta, si tergiversa, come se il tempo potesse risolvere tutto da solo. È l’indifferenza istituzionale, certo, ma è anche la nostra. Perché siamo onesti: quanto ci importa davvero, quando non siamo noi a subire? E allora, cosa resta? Resta una catena umana sulle strisce pedonali. Resta il coraggio di questi ragazzi, la loro voce che dice “Basta”. Resta la rabbia, il senso di impotenza, ma anche una speranza. Perché se non sono loro a ricordarci cosa conta davvero, chi lo farà? Beatrice Loi non c’è più, e questo non cambierà mai. Ma forse, almeno, possiamo fare in modo che il suo nome non resti solo un altro titolo di cronaca nera. Forse possiamo smettere di aspettare il prossimo incidente. Ma dobbiamo volerlo davvero.