Permessi di soggiorno più rapidi per gli universitari stranieri: Sassari sigla l’accordo, ma il sistema guarda altrove

Palazzo Università a Sassari
  Un nuovo accordo tra l’Università di Sassari e la Questura promette di velocizzare i procedimenti amministrativi per il rilascio e il rinnovo dei permessi di soggiorno per studenti e personale accademico provenienti da Paesi extra-UE. Firmato dal rettore Gavino Mariotti e dal questore Filiberto Mastrapasqua, il protocollo sembra voler rafforzare l’attrattività dell’ateneo sassarese sul piano internazionale. Eppure, mentre si celebra questo passo avanti, altre questioni cruciali per l’università isolana restano in silenzio, schiacciate dall’indifferenza istituzionale. L’accordo, valido per cinque anni, prevede misure concrete: uno sportello dedicato agli studenti incoming, un indirizzo email per contatti diretti, un vademecum plurilingue e sessioni di formazione per il personale universitario che si occupa di accoglienza. Strumenti pensati per semplificare la vita accademica di chi sceglie Sassari come meta di studio o ricerca. “È un passo importante per facilitare la mobilità internazionale e attrarre talenti”, afferma il rettore, ma al di là delle buone intenzioni, emerge una riflessione più ampia: qual è il ruolo dell’università in un’isola che sembra faticare a mantenere le sue eccellenze accademiche? Mentre l’amministrazione celebra l’efficienza burocratica, il sistema universitario sardo viene progressivamente indebolito da tagli ai finanziamenti e da un disinteresse politico che minaccia la sua capacità di produrre conoscenza e innovazione. 

  Gli studenti internazionali, accolti con sportelli dedicati e guide multilingue, arrivano in un ateneo che, nel frattempo, combatte per conservare corsi, docenti e risorse. È il paradosso di un sistema che punta all’internazionalizzazione mentre trascura le fondamenta. Ci si deve interrogare su cosa significhi, davvero, investire sull’università in Sardegna. Facilitare l’arrivo di studenti stranieri è utile, ma non risolve i problemi strutturali di un sistema che subisce costantemente tagli e che vede spesso i propri laureati e ricercatori costretti a emigrare. Sassari, con il suo accordo, dimostra di voler essere inclusiva, ma inclusività e qualità non possono essere disgiunte. 

  La questione non è solo locale: riguarda il valore che l’Italia attribuisce al suo sistema universitario. Un valore che sembra scemare di fronte alle priorità di bilancio, ma che rappresenta il cuore pulsante del futuro di un Paese. L’accordo di Sassari è un segnale positivo, ma resta la domanda fondamentale: chi si occuperà di preservare ciò che rende l’università un’istituzione capace di formare non solo studenti, ma cittadini e innovatori?