Queer Theory e Vannacci: l'Università come campo di battaglia ideologico?

-
  L’introduzione delle teorie queer nelle università sarde – da Sassari a Cagliari – riaccende il fuoco di un dibattito che va ben oltre l’accademia e tocca corde politiche e culturali profonde. Presentato come un avanzamento progressista, il progetto di portare Federico Zappino, docente di Teorie di genere e queer, anche a Cagliari con un seminario dedicato sembra voler lanciare un chiaro messaggio: l’istituzione accademica non è più solo un luogo di sapere neutrale, ma un laboratorio ideologico con una precisa agenda. L’università, un tempo terreno di coltura per una pluralità di idee, oggi rischia di ridursi a un palcoscenico dove una visione unilaterale della società viene elevata a verità indiscutibile. 

  L’approccio critico, che dovrebbe essere il fondamento stesso della ricerca e dell’insegnamento, viene infatti sacrificato a favore di narrazioni che non ammettono repliche, quasi fossero dogmi laici. Il proliferare dei corsi e dei seminari sulle teorie queer in contesti dove già le posizioni ideologiche si fanno sentire fortemente rischia di lasciare poco spazio al dissenso o anche solo alla sana discussione. Il richiamo a figure come l’ex generale Roberto Vannacci, con l’invito provocatorio di fargli “partecipare” a un corso sulle teorie di genere, diventa quindi una strategia sottile per rafforzare una dialettica di contrapposizione. Non si tratta di invitare un pensatore con una visione divergente, ma di offrire una figura da demonizzare, un simbolo su cui scaricare tutte le critiche alla “vecchia mentalità”. Questo gioco polarizzante, mascherato da apertura, non mira certo al confronto vero e proprio, ma alla vittoria di una corrente ideologica su tutte le altre. C’è poi una questione centrale che riguarda l’università stessa. Qual è il compito di un’istituzione pubblica? Deve formare cittadini consapevoli, in grado di analizzare e criticare il mondo che li circonda, o diventare un baluardo di propaganda? L’inserimento delle teorie queer, così come viene proposto, sembra dimenticare che l’istruzione dovrebbe offrire una pluralità di prospettive, lasciando spazio a chi la pensa diversamente. Invece, l’università rischia di farsi veicolo di un pensiero monolitico, che non tollera la messa in discussione.

  Sullo sfondo, resta la domanda sul vero significato di questa operazione: è realmente un tentativo di arricchire il panorama accademico o è semplicemente un atto di forza ideologico? La risposta è meno scontata di quanto si possa immaginare. Al di là delle polemiche e delle prese di posizione, il rischio è che, in nome di una presunta apertura e progresso, si finisca per appiattire il dibattito e imporre un’unica visione, inaccettabile per chi vede l’università come un santuario del sapere libero e critico.