La tragedia di Capoterra: 45 anni fa lo schianto del Dc-9

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  Il 14 settembre 1979 un Dc9 partito da Alghero e diretto a Cagliari precipita sui monti tra Capoterra e Sarroch. Nello schianto sulla vetta che domina il Golfo degli Angeli muoiono tutti i 27 passeggeri e i 4 uomini dell'equipaggio. E' la più grave sciagura dell'aria avvenuta in Sardegna. Quarantacinque anni fa le condizioni atmosferiche sull’isola erano molto simili a quelle di questi giorni. Nuvole, vento, pioggia accompagnarono il volo Bm-Pt 012 della compagnia aerea Ati, Aero Trasporti Italiani, tra Alghero-Fertilia e Cagliari-Elmas. Sul monte Conca d'Oru, a 600 metri di quota, ai piedi della croce e della lapide che ricordano la sciagura, sono disseminati i resti dell'aereo: ali, motori, carrelli, timone di coda e le fiancate della carlinga sono dispersi tra alberi e nude rocce. Acciaio e alluminio che non presentano segni di ruggine e dove le vernici originarie conservano sigle e colori. Sono un monumento a cielo aperto che è meta ancora oggi di un continuo pellegrinaggio. Il luogo è di una selvaggia bellezza che invita alla serenità e alla riflessione. Dolore, partecipazione e semplice curiosità spingono centinaia di persone a percorrere l'impervio sentiero che porta alla cima per deporre un fiore o recitare una preghiera sui resti dell'aereo. Non mancano i writer e le scritte con le bombolette spray, ma questo è un segno dei tempi, un esibizionismo infantile che accomuna i rottami del Dc9 a tutti i monumenti del pianeta. 

  La pietà popolare ben conosce questo cimitero che conserva i segni di una sciagura dove sono morte 31 persone. Sarebbe tempo che anche gli amministratori pubblici prendano coscienza di questa realtà e dedichino questo sacrario a tutte le vittime degli incidenti aerei. Ci sono dettagli sconosciuti ai più. Con gli animali ad esempio, specie i cinghiali che dapprima scapparono nel sottobosco per poi affacciarsi quando i soccorritori, alle prime luci dell’alba, videro quell’immane disastro. Pochi sanno che un gruppo di militari venne dirottato a notte fonda in quella località con “l’ordine di sparare a chiunque, non autorizzato si avvicinasse al punto dell’impatto” racconta in esclusiva Claudio Squintu, allora militare in servizio a Teulada. “Temevamo la presenza di sciacalli – afferma – non tanto degli animali” che evidentemente potevano cibarsi di resti umani, “bensì di malintenzionati capaci di rubare magari oggetti di valore“.