Ci sono momenti nella storia in cui le scelte di un singolo individuo, travestite da progresso, si rivelano come l’inizio di una deriva che potrebbe travolgere l'intera società. Il CEO di Klarna, Sebastian Siemiatkowski, sembra aver deciso che il sacrificio dei lavoratori umani sull'altare dell'intelligenza artificiale è non solo inevitabile, ma addirittura desiderabile. Con una disarmante freddezza, ha dichiarato che il numero di dipendenti della sua azienda è sceso da 5.000 a 3.800 nell'ultimo anno, e che potrebbe ridursi ulteriormente a 2.000. Non si tratta di licenziamenti, dice lui, ma di mancate assunzioni. Come se questo dettaglio potesse attenuare la cruda realtà: centinaia, se non migliaia, di persone saranno presto considerate superflue.
Siemiatkowski si crogiola nei risultati della sua "rivoluzione" tecnologica, elogiando il fatto che l'assistente AI di Klarna possa sostituire il lavoro di 700 dipendenti, riducendo il tempo medio di risoluzione dei problemi da 11 a 2 minuti. Ma dietro queste cifre, dietro questo linguaggio da manager che odora di Silicon Valley, c'è un’inquietante verità. Ogni lavoratore rimpiazzato da un algoritmo non è solo un numero perso su una tabella, ma una persona con bisogni, sogni, responsabilità. Una persona che, nell’economia di mercato, è anche un consumatore.
E qui sta la contraddizione più grande. Siemiatkowski e i suoi pari vedono nell’intelligenza artificiale la panacea di tutti i mali: più efficienza, più profitti, meno problemi. Ma si dimenticano di un dettaglio fondamentale: l’economia globale è un sistema interconnesso, dove i lavoratori sono anche i consumatori.
Se riduciamo al minimo la forza lavoro, riduciamo anche il potere d'acquisto delle masse. E quando il consumatore scompare, che cosa rimane da ottimizzare? Chi comprerà i prodotti e i servizi offerti dalle aziende che Siemiatkowski idolatra?
In nome della produttività e dell’efficienza, Siemiatkowski sta spingendo la sua azienda verso un baratro. Il suo modello, se adottato su scala globale, rischia di distruggere le basi stesse dell’economia capitalistica, trasformandola in un’oligarchia dove pochi traggono vantaggio a discapito di molti. Il suo entusiasmo per l’AI ignora deliberatamente il rischio di una società polarizzata, composta da una piccola élite di privilegiati e da una massa di inoccupati, sussidiati o, peggio ancora, schiavi moderni.
Se questo è il futuro che ci attende, è giusto chiedersi: a che prezzo? Vale davvero la pena sacrificare la dignità del lavoro umano per una macchina che, per quanto efficiente, non può capire, non può sentire, non può vivere? Siemiatkowski potrebbe considerarsi un pioniere di questa nuova era, ma rischia di passare alla storia come l’uomo che ha contribuito a distruggere il fragile equilibrio su cui si regge la nostra civiltà. È tempo di riflettere su cosa significhi veramente progresso e su quali siano i limiti etici di questa corsa sfrenata verso un futuro disumanizzato.