Una notte di paura ad Alghero: Quando il pronto soccorso non è pronto - Dopo le 20 i bambini non possono ammalarsi

Ospedale Civile
  Venerdì sera, ad Alghero, si è consumato l’ennesimo episodio che getta luce sulle gravi carenze della nostra sanità. Un bambino di sei anni, Thomas, è stato costretto a una corsa disperata verso il pronto soccorso, ma quella che avrebbe dovuto essere una ricerca di soccorso immediato si è trasformata in un’odissea di disservizi e angoscia. Tutto è iniziato in tarda serata, quando il piccolo ha cominciato a lamentare forti dolori addominali, seguiti da episodi di vomito a getto continuo. La madre ha tentato subito di arginare la situazione. 

  "Gli ho dato del Peridon," racconta, riferendosi al farmaco che viene spesso usato per bloccare il vomito. Ma quel venerdì sera, neppure il Peridon ha fatto il suo dovere. Thomas continuava a vomitare ogni quindici minuti, senza tregua. Con il bambino sempre più debole, la madre ha capito che non c’era altra scelta: bisognava andare al pronto soccorso. "Ho chiesto a un amico di accompagnarmi," dice, ma una volta arrivata all’ospedale civile di Alghero, la realtà le è piombata addosso con la brutalità di un pugno: "Mi hanno detto che il reparto di pediatria era chiuso e che non c’era un pediatra disponibile." Le sue parole sono cariche di incredulità e amarezza. 

  Siamo ad Alghero, una città che ospita migliaia di turisti ogni anno, eppure sembra che dopo le 20:00, un bambino non possa permettersi il lusso di stare male. La situazione è presto peggiorata: le è stato detto che, se voleva assistenza pediatrica, avrebbe dovuto recarsi a Sassari. Ma la madre, senza macchina, si è trovata di fronte a un dilemma quasi impossibile. Avrebbe dovuto prendere l’ambulanza, portando con sé anche l’altro figlio, senza sapere come poi fare per tornare ad Alghero. "Come avrei fatto a tenerlo?" si chiede, visibilmente esausta. 

  Il pronto soccorso, quel luogo che dovrebbe essere sinonimo di soccorso immediato, si è rivelato invece un limbo dove il tempo si ferma e l’angoscia cresce. E questa non è solo la storia di Thomas e della sua mamma. Sempre più spesso, la gente preferisce evitare il pronto soccorso, consapevole che entrare lì significa rimanerci ore, se non giorni. Si arriva al punto di preferire il rischio di curarsi a casa, piuttosto che affrontare la lunga attesa, con la paura di non uscirne più. In questa vicenda, la madre di Thomas ha fatto tutto il possibile: ha cercato di curare il figlio a casa, ha cercato aiuto al pronto soccorso, è passata per la guardia medica, ma ovunque non è stata aiutata. Ma come si può giustificare un tale calvario? La Costituzione italiana è chiara: la salute è un diritto sacro e inviolabile. 

  Eppure, la realtà ci racconta una storia diversa, fatta di tagli alla sanità e di reparti chiusi, di pronto soccorsi che di pronto hanno solo il nome. Mentre si cerca di capire se ci sono risorse sufficienti, le famiglie continuano a soffrire in silenzio. "È una vergogna," dice la madre di Thomas, e come darle torto? Una vergogna che dovrebbe farci riflettere, perché non si tratta solo di numeri o bilanci. Qui parliamo di vite umane, di bambini che hanno il diritto di ricevere cure immediate, di genitori che non dovrebbero mai trovarsi a scegliere tra aspettare ore in un pronto soccorso o rischiare la vita dei loro figli. 

  Questa non è solo la storia di Thomas, ma la storia di tutti noi. E forse, è il momento di pretendere che il diritto alla salute torni ad essere ciò che la Costituzione ci garantisce: un diritto sacro, inviolabile, e soprattutto, esigibile in ogni momento, senza eccezioni.