Nel 1995, nel cuore antico e misterioso del canyon di Tuvixeddu a Cagliari, il corpo senza vita della giovane Manuela Murgia fu ritrovato. Le autorità dell'epoca, in fretta e furia, classificarono la morte come suicidio, chiudendo il caso senza troppi indugi. Ma per i familiari di Manuela, questa conclusione è sempre stata un pugnale nel cuore, una ferita che non si è mai rimarginata.
Fin dal primo giorno, i genitori e i fratelli di Manuela hanno lottato con tutte le loro forze per far riaprire il caso, sostenendo con fermezza che la loro amata non si era tolta la vita, ma era stata vittima di un omicidio. Hanno presentato nuove prove, testimonianze e dettagli che smontavano la fragile tesi del suicidio, ma le loro suppliche sono rimaste inascoltate.
E ora, dopo 29 anni di battaglie legali e di richieste incessanti, è arrivata la notizia che temevano: il Pubblico Ministero Giulio Pani ha deciso di non riaprire il caso.
Per i familiari di Manuela, questa è stata un'altra pugnalata, un tradimento da parte di chi dovrebbe proteggere i cittadini e garantire la giustizia.
"Stiamo valutando le strade da seguire," ha dichiarato l'avvocata Lai, che rappresenta la famiglia, "e proseguiremo nella richiesta della riapertura del caso. Non ci fermeremo."
Sui social, il dolore e l'indignazione dei fratelli di Manuela risuonano con forza: "Manuela è stata assassinata una seconda volta. Chi dovrebbe garantire giustizia se ne sta lavando le mani. Perché tutto ciò? Chi si vuole coprire? Manu, noi non smetteremo mai di lottare per te perché meriti pace e giustizia."
La lotta per la verità continua, una battaglia che riguarda tutti noi. Perché chiedere giustizia per una giovane vita spezzata troppo presto è un diritto di qualunque essere umano.
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