C'è un’ironia quasi grottesca nel vedere Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione Europea, inciampare in uno scandalo di trasparenza proprio in un momento cruciale per la sua carriera politica. La Corte di Giustizia Europea ha condannato la Commissione per la mancata trasparenza nei contratti di acquisto dei vaccini anti-Covid, una condanna che arriva come una doccia fredda alla vigilia del voto di riconferma di von der Leyen al vertice dell'UE.
Il fulcro dello scandalo, ribattezzato "Pfizergate", riguarda lo scambio di messaggi tra von der Leyen e il CEO di Pfizer, Albert Bourla, che si dice abbiano portato alla stipula di contratti per miliardi di euro senza un’adeguata supervisione pubblica. Nonostante le ripetute richieste di accesso agli atti, i documenti resi pubblici risultano pesantemente oscurati, nascondendo clausole chiave come quelle sugli indennizzi e i potenziali conflitti di interesse.
La difesa della Commissione è stata quella di proteggere interessi commerciali sensibili, una giustificazione che però non ha convinto i giudici. Questo episodio è emblematico di una gestione opaca e, per molti, inaccettabile, che solleva legittimi dubbi sull'integrità dei processi decisionali ai più alti livelli dell'Unione Europea.
Il New York Times, non a caso, ha fatto causa alla Commissione Europea, accusandola di nascondere informazioni vitali per l'interesse pubblico. Il rifiuto della Commissione di divulgare i messaggi è stato visto come un tentativo di occultare potenziali irregolarità nelle negoziazioni, aggiungendo ulteriori ombre sul già controverso operato di von der Leyen.
Questa condanna non solo mette in discussione la trasparenza della Commissione, ma getta un'ombra anche sulla rielezione di von der Leyen, nonostante il suo partito, il Partito Popolare Europeo, continui a sostenerla.
La situazione appare quindi come una tragicommedia politica, dove la protagonista, un tempo paladina della trasparenza, è ora intrappolata in una rete di segreti e accuse. Potremmo commentare con un misto di cinismo e disincanto questa situazione, vedendo in von der Leyen un simbolo della decadenza morale delle istituzioni europee. La lezione, per chi volesse apprenderla, è che la trasparenza non può essere un valore declamato a parole e tradito nei fatti senza conseguenze.
La verità, come spesso accade, è un lusso che pochi possono permettersi, e la trasparenza, in questa vicenda, sembra essere diventata la prima vittima sacrificale sull'altare della realpolitik.
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