Il corpo martoriato di un bracciante indiano, abbandonato come un rifiuto dopo aver perso un braccio in un incidente sul lavoro, grida la vergogna di una nazione che ha perso ogni traccia di umanità.
Questo giovane, mutilato e in preda a dolori lancinanti, è stato lasciato a morire dal suo datore di lavoro. Nessuno dei caporali ha alzato un dito per soccorrerlo. È stato portato in ospedale troppo tardi, morendo tra le braccia di una moglie disperata.
Questo orrore si è consumato in una azienda agricola a Borgo Santa Maria, Latina.
L'uomo, appena 31enne, ha perso l'arto in un'avvolgiplastica trainata da un trattore, che ha schiacciato anche le sue gambe. Nonostante il tentativo disperato di salvarlo in ospedale, le sue ferite erano troppo gravi.
La Procura di Latina ha aperto un'inchiesta per lesioni personali colpose e omissione di soccorso. Ma queste indagini, per quanto necessarie, non restituiranno una vita spezzata.
La verità è che la morte di questo bracciante è l'ennesima dimostrazione di un sistema marcio, dove i più vulnerabili sono trattati peggio degli animali.
In un'Italia che si vanta di abolire il caporalato e di garantire i diritti dei lavoratori, la realtà è ben diversa. I braccianti, spesso immigrati senza tutele, sono sfruttati senza pietà, abbandonati quando non servono più, lasciati morire per strada.
È il fallimento totale di una nazione che ha perso la sua anima.
Questi lavoratori invisibili, che raccolgono il cibo che arriva sulle nostre tavole, meritano rispetto e dignità. Non possiamo chiudere gli occhi di fronte a tali atrocità. Dobbiamo pretendere giustizia, perché ogni vita conta. Questa storia deve scuoterci, farci indignare e agire per un cambiamento reale. Non possiamo più permettere che la vita umana sia sacrificata sull'altare del profitto.
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