L’Istituto Subacqueo Italiano, sede della Sardegna, esprime preoccupazione per il futuro del Parco Nazionale marino di Capo Caccia – Isola Piana.
Come è noto si tratta di uno straordinario spazio marino che racchiude il 26 Kmq l’antica storia di Alghero, dai primi insediamenti umani alla battaglia di Porto Conte del 1353 al Cristo arrivato dal mare, e che simboleggia con il profilo caratteristico del frontuni di Capo Caccia la cultura marinaresca della città con la pesca del corallo, dell’aragosta e del riccio viola, con i nassaioli e i calafati, con i gozzi e le spagnolette.
E poi le grotte: straordinari gioielli naturalistici. Il cuore stesso del Parco marino è rappresentato dalla visitatissima grotta di Nettuno, nota in tutt’Europa, e che è solo una di un più vasto sistema di grotte, in parte sommerse dal mare, che non ha uguali lungo le coste italiane.
Scaduto lo scorso dicembre il mandato al precedente responsabile, si sta procedendo ora, in affanno e con mesi di ritardo, alla nomina del nuovo direttore, nella figura dell’attuale direttore del Parco Regionale di Porto Conte.
Nomina che appare però discutibile sia nel metodo che nella sostanza. Nel metodo perché si tratta di una nomina imposta dall’alto e decisa a tavolino già in sede di campagna elettorale, senza un benché minimo coinvolgimento delle categorie interessate: dai pescatori, ai diportisti, dagli operatori dell’ordine in mare ai centri di immersione ed alle scuole subacquee.
Nella sostanza perché questa scelta necessariamente svilisce l’autonomia del Parco marino per farlo confluire nel più politicizzato e più amministrativamente strutturato Parco di Porto Conte. Scelta discutibile perché proprio ora il Parco marino richiede uno sforzo a tempo pieno per un rilancio internazionale di immagine e per l’attuazione di importanti provvedimenti quali la ridefinizione dalla perimetrazione e dei regolamenti.
Come si sa le due istituzioni sono gestite, con modalità e strutture differenti, da un unico soggetto che è il Comune di Alghero. La loro efficienza dipende dal buon funzionamento degli apparati di segreteria e dai due staff tecnici, ma soprattutto dalle direttive politiche che dovrebbero essere periodicamente impartite.
E da questo punto di vista bisogna lamentare l’assenza, per entrambi gli enti, di linee guida che fissino le priorità e soprattutto del principale strumento di programmazione che è il piano del Parco. In altre parole, da oltre un decennio entrambi i parchi navigano a vista rincorrendo all’occasione bandi e progetti senza una programmazione pianificata e senza ottimizzare le risorse disponibili.
In questo ultimo anno il Parco marino ha avuto un significativo calo progettuale e nessuna politica di marketing per promuovere se stesso ed i suoi percorsi marini.
Non c’è stato alcun dialogo con gli operatori del mare per gestire al meglio l’imminente stagione estiva, ma soprattutto è mancata un’incisiva attività di tutela degli ambienti marini. Solo con iniziative di recupero dei degradati fondali marini di Porto Conte (inquinamento e alghe invasive come Caulerpa racemosa avanzano) e con provvedimenti di salvaguardia dei fragilissimi ambienti delle grotte sommerse si potrà continuare ad attirare nel mare di Alghero un significativo numero di subacquei. E i numeri, se pure in calo, sono comunque di tutto rispetto perché si parla di migliaia di immersioni/anno e di 4/5 milioni di euro di indotto economico.
A cui deve essere aggiunto l’indotto del turismo nautico. Anche in Sardegna ci sono ottimi esempi di aree marine protette ben funzionanti, quale ad esempio Tavolara, con indotto stimato in circa 15 milioni di euro/anno e dove cernie e astici hanno un valore economico 1000 volte superiore al loro valore sul banco del mercato.
Questo impone regolamentazioni sulla pesca, ma anche la formazione di nuove figure professionali quali la guida subacquea nelle grotte marine. Fortunatamente i due Parchi del territorio algherese insistono su un’area di grande pregio e, come Siti d’Interesse Comunitario e come Zone a Protezione Speciale, possono accedere a finanziamenti comunitari.
Inoltre il direttore del Parco marino, oltre che lavorare in rete con le altre aree protette europee, dovrebbe anche occuparsi di aiutare l’amministrazione comunale con progetti concreti ed operativi sull’erosione costiera, sulla tutela dei posidonieti (anche con azioni di reipianto), sul pesante problema degli scarichi a mare e conseguenti maree gialle, sulle bonifiche delle discariche sommerse, sull’attivazione di un’unità iperbarica per ossigenoterapia ed emergenze... Insomma, un lavoro a tante facce e sicuramente a tempo pieno.
Compresi i progetti ad ampio respiro quali la realizzazione del Museo del Mare e il Centro di Ricerca dei sistemi lagunari, della pesca e dell’acquacoltura.
A nostro avviso la nomina del direttore di un’ente così importante deve obbligatoriamente seguire un percorso trasparente e condiviso, ovvero la strada del concorso pubblico, e non quella della nomina discrezionale. Soltanto con un concorso pubblico per titoli, possono essere spazzati via i sospetti di interessi di parte e può essere garantita la massima imparzialità e il massimo livello di competenza.
D’altronde l’attuale amministrazione ha sempre propugnato criteri di trasparenza e condivisione sin dalla campagna elettorale, mentre questa nomina non ha nemmeno superato un doveroso e trasparente passaggio consigliare.
Inoltre, che un direttore unico migliori l’efficienza complessiva del sistema e riesca a gestire al meglio i tre uffici e le varie sedi dei due parchi, facendo funzionare tutto in maniera ottimale e con i dovuti equilibri politici, è un teorema tutto da dimostrare.
L’esperienza insegna che risparmiare sulle risorse umane, sulle sinergie e sullo stimolo reciproco di due esperti, è spesso un errore.
Roberto Barbieri, naturalista e
presidente dell’ISI Sardegna (Istituto Subacqueo Italiano)
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